Roma, 19 settembre 2017 - Per salvare capra e cavoli c’è l’ipotesi che venga mandata avanti solo una parte dello Ius soli, la legge sulla cittadinanza agli stranieri, quella che riguarda lo ius culturae. In pratica, verrebbe tenuto vivo solo il nocciolo più significativo per cui diventerebbe italiano il minore straniero che ha concluso un ciclo di studi, mentre verrebbe stralciata l’altra strada d’accesso presente nel provvedimento che giace al Senato, lo ius soli temperato, ovvero la possibilità di acquisire la cittadinanza da parte di chi è nato nel nostro Paese da genitori immigrati di cui almeno uno sia in possesso di un permesso di soggiorno permanente. Una formulazione più restrittiva, che comporterebbe un nuovo passaggio alla Camera dove però i numeri sono tali da non creare problemi al governo.
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Sarà questo sufficiente a superare le difficoltà dei centristi? L’interrogativo resta aperto nella maggioranza, dove diffusa è la sensazione che il testo possa passare solo con un voto di fiducia che, però, Ap continua a guardare con sospetto: «La legge è giusta ma il metodo di approvazione sbagliato», sottolinea il ministra Lorenzin. Il partito è diviso tra chi non vuole assolutamente far passare il provvedimento, convinto di perdere consensi a destra. E chi invece vuole rispondere positivamente alle esigenze del suo elettorato cattolico e, soprattutto, al pressing delle gerarchie vaticane che insistono perché venga dato il via libero alla legge. Non è casuale che i grillini si sfilino dalla lotta: «Serve una posizione unica europea», avverte Di Maio.
Invece Alfano, stretto nella tenaglia, prende tempo: «Ne parleremo nella direzione del 26 settembre, ma l’attuale testo va emendato». Consapevole che sta lasciando per strada brandelli di partito e – probabilmente – anche voti nel breve: in Sicilia tre pezzi da novanta come Lo Sciuto, Germanà e Lentini lo hanno abbandonato per correre alle regionali sotto le insegne di Forza Italia con Nello Musumeci. Il rischio di una frana in Parlamento, c’è ed è tangibile. Ma il leader di Ap è altrettanto timoroso – casomai la legge non passasse – di dover fare i conti anche con l’ira di Renzi che potrebbe mandare all’aria l’accordo con lui per le elezioni politiche: «Il Pd ha mille problemi ma forse sarà chiaro anche ai più ostinati teorici del fuoco amico che la sfida non è al nostro interno». Anche il Partito democratico ha le sue gatte da pelare. L’ultimo sondaggio di Tecnè alimenta le paure: il 56,2 % degli italiani è contrario alla legge mentre il 34,8 è favorevole. Ne ha fatto le spese anche Avvenire – il quotidiano dei vescovi – rilanciando su Facebook la prima pagina dell’edizione di domenica: moltissimi i commenti negativi dei lettori. Vero è che si tratta di un tema «di sinistra», ragion per cui il rischio che il suo popolo gliela possa far pagare nell’urna è presente al leader Pd, a Gentiloni, a tutto il partito. Ecco perché – per tentare di tenere tutto insieme – si è chiesto al ministro dell’Interno Minniti di metterci la faccia: la sua linea ferma sull’immigrazione dovrebbe servire per rendere ‘potabile‘ il provvedimento anche agli elettori più dubbiosi.
A sentir l’ex leader dell’Ulivo, Prodi, le condizioni per il via libera alla legge si possono creare «una volta sgomberato il campo dalla legge finanziaria». Cioè alla fine di novembre, quando la sessione di bilancio si sposta alla Camera. I meno ottimisti ritengono invece che il tema dovrebbe essere trattato alla fine di ottobre. Subito dopo il voto sul Def.