Sfiorano quota 300 le firme in calce alla richiesta di congresso promossa nei giorni scorsi dai dirigenti locali di Italia viva. Adesioni per la maggioranza provenienti dalle province del Nord e del Centro, dove del resto è prevalente l’insediamento del partito, ma anche qualche attrito con le sinistre. Manca però chi sia in grado di recepire la richiesta, dato che a convocare l’assise dovrebbe essere l’Assemblea nazionale del partito "nominata", come obiettano dalla periferia, in larga prevalenza tra i fedelissimi di Matteo Renzi. Ciò non toglie che "anche dopo le ultime dichiarazioni siamo conviti di dover perseverare", come spiega il presidente di Iv milanese Filippo Campiotti.
Dove l’iniziativa della base possa approdare è presto per dirlo, vista anche l’imminenza della vacanze. Un esodo verso Azione per il momento non sembra sedurre i promotori del congresso, il cui orizzonte rimane comunque la costruzione di un Terzo polo centrista alternativo al bipolarismo. In quest’ottica, semmai, si osserva con maggior attenzione la parabola di Forza Italia, nell’eventualità che un domani si modifichi il quadro e che il partito di Antonio Tajani occupi in modo più consistente il centro in chiave europea: ovvero guardando a un’alleanza con Pd e liberali. Fantapolitica, anche se governa da Bruxelles. Per adesso di certo c’è solo che i dirigenti locali mettono in guardia sia Renzi che il Pd riguardo al fatto che "siamo stati noi a portare i risultati e le preferenze" che l’ex premier vanta di avere in carniere. Come a avvertire che da Italia viva nel campo largo andranno solo ufficiali senza truppe. Insomma: "Lo scontento c’è – certifica Campiotti –. Non solo per il merito, ma anche per il metodo", delle sortite renziane. A cominciare dall’aver fatto capire "che il Terzo polo fosse un ripiego figlio dei veti di Letta" al tempo delle elezioni politiche. Impressione per niente gradita da quella parte di dirigenti e militanti che avevano creduto al disegno autonomista centrista. E che perciò ne chiedono conto al capo.
Non sfugge ai dirigenti locali la sostanza del ragionamento renziano: la richiesta di unità della base elettorale del centrosinistra, il fatto che il governo Meloni si sia incartato in Europa e la possibilità che l’onda referendaria possa portare a elezioni. Per questa prontezza di analisi, anzi, l’ex premier continua a essere considerato "di gran lunga il migliore" anche a detta dei suoi obiettori. Ma come leader di partito gli si rimprovera "l’incapacità di portarsi dietro" la base. E il modo in cui ha dilapidato il 40% da segretario del Pd sta abbastanza lì a dimostrarlo.
I dirigenti locali obiettano che il ragionamento renziano non dovrebbe portare automaticamente a un’alleanza organica col centrosinistra decisa per mezzo di un’intervista senza consultare la base. "Una virata di 180 gradi rispetto alla linea portata avanti dal congresso che ha eletto Renzi nell’ottobre scorso fino alle liste europee", osserva la presidente riminese Giorgia Bellucci. Merito, ma anche metodo. Perché nonostante le profferte di dialogo nei riguardi dei dissidenti, "si continua a dire che siamo nel centrosinistra e a fare cantieri per le regionali", obietta Bellucci. Vero è che il Terzo polo è franato prima di nascere per i personalismi incrociati di Renzi e Calenda. Ma secondo Campiotti "la difficoltà a comporre un’area di centro non può scoraggiarci".