Roma, 9 ottobre 2023 – A quale scenario ci troviamo davanti con l’esplosione del nuovo conflitto in Medio Oriente?
"Uno scenario non insolito, la regione ha visto guerre e conflitti quasi senza interruzione negli ultimi decenni – avvisa Emma Bonino, leader radicale ed ex ministra degli Esteri – E il conflitto israelo-palestinese è stato lungamente considerato quello paradigmatico delle tensioni immanenti nella convivenza, in quell’area, di popoli e governi con valori, pulsioni religiose e tradizioni democratiche estremamente diverse. Quello che cambia, nello scenario attuale, è il contesto globale".
In che termini?
"Tutte le istituzioni deputate alla gestione dei conflitti e al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale sono al momento congelate. Dysfunctional , per dirla in inglese: non funziona più nessuna istituzione multilaterale in cui Usa, Cina, Russia e Ue siano chiamate a cooperare. Dall’Onu al Wto, dall’Osce alla Banca Mondiale".
E, dunque, quale potrà essere l’evoluzione o l’escalation del conflitto?
"L’evoluzione non può che essere un’escalation militare da parte di Israele. Con tutti i rischi che questo comporta. Primo fra tutti, quello di un enorme spargimento di sangue, non solo di militanti di Hamas, a Gaza. È triste pensarlo, ma il calcolo cinico dei leader di Hamas è verosimilmente quello che una ritorsione sanguinosa di Israele, con tante vittime civili, torni a mobilitare le piazze arabe contro Israele, renda implausibile politicamente, per qualsiasi governante arabo, sostenere il ravvicinamento diplomatico con Israele, e riporti la questione palestinese al centro dell’agenda internazionale".
Che ruolo ha avuto Netanyahu?
"È stato deleterio, lo è da troppo tempo nella politica israeliana. Da amica da sempre di Israele, trovo, come gran parte dei democratici ebrei e filo-israeliani nel mondo, che sia un errore mortificare una democrazia vibrante come quella israeliana con coalizioni di governo costruite tatticamente, che includono partiti estremisti e politici xenofobi. Questi atteggiamenti sono parte del problema".
E ora che cosa potrà fare il premier israeliano?
"Per fortuna, il premier sembra aver aperto a una coalizione che includa le forze di opposizione per fronteggiare la crisi. Le personalità di Lapid e Gantz, ambedue più moderati e lungimiranti di Bibi, miglioreranno il tasso di razionalità del governo attuale; e spero siano di aiuto anche quando sarà il momento di negoziare un cessate il fuoco. Non è passeggiando ad Al Aqsa che si risolverà questa crisi".
Torniamo all’Europa: si è troppo distratta e ha abbandonato Israele?
"L’Europa non ha abbandonato Israele. Ha abbandonato tutta la regione del Medio Oriente. Qualcuno ricorda il nome dell’inviato dell’Ue per il processo di pace in Medio Oriente? O cosa abbia fatto di recente? L’Ue non ha avuto un ruolo significativo nella crisi in Siria; stenta a mantenere il ruolo di leader nei negoziati con l’Iran, che sono al palo; non è riuscita da decenni a sbloccare i negoziati per una zona di libero scambio con il Golfo".
Questo anche perché l’Unione è concentrata sull’Ucraina?
"No. Come nella crisi ucraina, mi pare che l’Unione dimentichi che gli sforzi diplomatici più serrati servono precisamente quando c’è la guerra in atto. Per affrontare le crisi in atto con credibilità, bisogna metterci la faccia, e – scusate il francesismo – anche parti del corpo meno nobili: nel senso che uno sforzo di mediazione comporta sedersi a un tavolo, per tutto il tempo che serve, con tutte le parti in causa. Non al telefono, e non adottando testi declaratori. Nessuna parte impegnata in un conflitto ha tempo di leggere dichiarazioni roboanti a distanza, che ammoniscono a cessare le ostilità".
L’Italia, però, è nettamente schierata dalla parte di Israele.
"Non c’è più un problema di percezione, né di qualità delle relazioni fra Italia e Israele. C’era in passato, quando quasi solitari i Radicali si battevano contro un pensiero dominante – comune a tutta la sinistra, ma anche alla Dc e ai partiti centristi con l’eccezione dei repubblicani di Spadolini – che aveva sposato senza se e senza ma la causa palestinese".
Da qualche decennio non è più così.
"Da tempo, infatti, i governi di centrodestra e di centrosinistra a Roma hanno raddrizzato questo errore di carreggiata, e intrattengono ottime relazioni con Israele: non c’è più a mio avviso un problema politico a quel livello. Ho notato la scelta di una premier dichiaratamente di destra di proiettare la bandiera israeliana sulla facciata di Palazzo Chigi in solidarietà con il Paese attaccato. Aggiungo anche che la presenza di Liliana Segre in Parlamento ha dato peso e misura politica alla lotta contro l’antisemitismo strisciante".
Che ruolo, in questo contesto, può avere l’Italia?
"Quanto al ruolo dell’Italia e del governo in questa crisi, ritengo sia modesto. Non per demerito di Meloni o di Tajani: semplicemente perché l’Italia non è mai stata fra i protagonisti attivi nella risoluzione di quel conflitto. E perché con un governo come quello di Bibi persino Washington aveva problemi a farsi ascoltare: figuriamoci le capitali europee in ordine sparso… L’Italia ha tuttavia un ruolo importante di moderazione delle tensioni alla frontiera con il Libano, grazie al contingente Unifil che fa un ottimo lavoro. Qualora la partecipazione di Hezbollah alla guerra in corso dovesse andare molto al di là delle scaramucce dimostrative in corso nella zona contesa al confine (quella delle Sheeba’s farms ), allora il contingente militare italiano sarebbe chiamato a compiti veri di interposizione. Speriamo non sia il caso".