Roma, 8 gennaio 2023 – “L’Europa ha un problema e sembra non accorgersene. L’inverno demografico avanza, soprattutto nel mondo sviluppato, ed è ormai un’emergenza, almeno quanto quella ambientale. Anche questo è un tema che va posto a livello europeo. E inizieremo a farlo". La ministra delle Pari opportunità, famiglia e natalità, Eugenia Roccella, ha fatto del contrasto del declino delle nascite nel nostro Paese la sua missione prioritaria.
Nonostante gli sforzi, i dati demografici restano allarmanti: l’Italia sta scomparendo?
"L’Italia ha tassi di natalità tra i più bassi d’Europa, perché ha trascurato il problema per troppo tempo, ma la differenza tra noi e Paesi in cui invece le politiche demografiche sono state precoci e generose, come la Francia o la Svezia, è di pochi decimali, tra lo 0,4 e lo 0,6 per cento. La verità è che ormai il rischio di spopolamento investe tutto il mondo sviluppato. L’intera Europa è al di sotto del cosiddetto tasso di sostituzione (la media di due figli per donna che garantisce la continuità della popolazione), che è ormai un miraggio per tutti. E non è eccessivo dire che quello della denatalità sta diventando un problema planetario, pensiamo a Paesi come il Giappone o la Corea del Sud".
L’Occidente geopolitico è destinato all’estinzione?
"Non possiamo immaginare di ottenere risultati dall’oggi al domani, anche perché il diminuire nei decenni delle nascite ha comportato di conseguenza il calo delle donne in età fertile, e questo rende la spirale demografica esponenziale. Ma è un problema che va affrontato adesso, in tutto il mondo, come la prima delle emergenze perché si porta dietro tutte le altre. Compresa quella ambientale: è inutile parlare di ambientalismo se ci si rassegna allo spopolamento. Se spariscono le persone, si depaupera pesantemente anche l’ambiente".
L’aggravarsi dell’emergenza demografica è la conseguenza delle crisi economiche e geopolitiche di questi anni? Ci si sente più poveri e insicuri e si fanno meno figli?
"È esattamente il contrario, e non lo dico io ma i demografi, e soprattutto i dati di realtà. Le curve ci dicono che la denatalità accompagna spesso nel nostro tempo la conquista del benessere, lo sviluppo economico e sociale, la democraticità dei sistemi politici, la diffusione dei diritti, la parità fra uomo e donna. In qualche modo, la stasi è indice del fatto che stiamo meglio di un tempo".
Occorrerebbe, per paradosso, tornare indietro?
"Certo che no. Sul punto vorrei essere molto chiara: questo non significa che serva tornare indietro sul piano dello sviluppo, dei diritti, della libertà femminile, della democrazia. Assolutamente no. Non solo sarebbe una ricetta inaccettabile, ma anche sbagliata. Così come non serve inseguire il mito infelice della decrescita, l’idea che meno siamo, meno produciamo e consumiamo, e meglio stiamo. Insomma, il nemico della natalità non sono lo sviluppo e i diritti. Però dobbiamo capire che il fatto che crescita socio-economica e decrescita demografica vadano in genere di pari passo ci impone di trovare un approccio nuovo, adeguato al nostro tempo".
In che senso e in che modo?
"Anche se nell’immediato deriva dal benessere, la denatalità in prospettiva produce disastri. Bisogna, invece, far crescere diritti e sviluppo. Quando ad esempio si accusa chi si preoccupa della natalità di voler riportare indietro le donne, rispondo che noi alle donne vogliamo invece offrire più libertà: vogliamo che siano libere di realizzarsi, di fare carriera, di vivere la propria socialità, e allo stesso tempo di fare i figli che desiderano, senza che questo significhi rinunciare a tutto il resto. È questa la sfida a cui siamo chiamati".
Ma se la denatalità è una ‘malattia’ del benessere, significa che i sostegni economici alle famiglie sono inutili?
"Certo che no. I sostegni economici, e aggiungo i servizi di welfare di prossimità, sono una leva importante che funziona su diversi piani: su quello concreto e materiale, ovviamente, ma anche su quello culturale, perché contribuisce a promuovere il valore sociale della genitorialità. Ma non bisogna commettere l’errore di leggere la crisi demografica in chiave solo economicistica. Altrimenti non si spiegherebbe come mai anche Paesi con un’antica e solida tradizione di politiche nataliste e a favore della famiglia siano oggi in declino".
Dunque come bisogna agire?
"L’aiuto materiale serve, è anche quello più direttamente azionabile, e il governo infatti ha subito agito in questo ambito, ma c’è bisogno di una strategia più ampia. Il mondo è cambiato, e l’approccio deve cambiare. Nel secolo scorso si sono affermate teorie che vedevano nella cosiddetta ‘bomba demografica’ una minaccia per il benessere. Si sono fatti enormi investimenti a livello internazionale per disincentivare le nascite, e ricordo che l’Onu ha premiato ufficialmente la famigerata politica cinese del figlio unico. Oggi non bisogna fare un errore uguale e contrario".
Nel senso?
"Se non si comprende che fare meno figli è una tendenza legata al benessere, non si metterà a fuoco la vera sfida: accrescere lo sviluppo, i diritti, le libertà, rendendo la genitorialità sempre più compatibile con i nuovi bisogni, i desideri di oggi, i nuovi stili di vita. È con questo che bisogna fare i conti, è su questo piano che dobbiamo trovare soluzioni. Non soltanto in Italia".
Soluzioni non più rinviabili. Tanto che anche l’opposizione incalza su questo.
"Ma se oggi se ne parla è proprio grazie al governo Meloni, che ha messo la questione all’ordine del giorno e le ha dato centralità. Ha iniziato da subito, con la denominazione di un ministero per la Natalità, e ha continuato con politiche concrete e con una visione che ha imposto la questione al centro del dibattito pubblico. La crisi è antica, ma prima solo gli esperti denunciavano i rischi, nel dibattito pubblico e politico parlarne era un tabù, era vietato. La differenza è che oggi di demografia si parla perché noi ne abbiamo voluto parlare, la politica comincia a occuparsene perché noi abbiamo voluto occuparcene. Ci fa piacere che la sinistra si sia sentita sollecitata e abbia iniziato a fare altrettanto, visto che a lungo da quella parte hanno proliferato i miti della decrescita e della denatalità come mezzo di salvaguardia dell’ambiente".
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