Roma, 18 gennaio 2025 – Chi era Bettino Craxi?
“Un grande leader politico del Novecento”. Giovanni Minoli condurrà domani su Raitre alle 23,20 una puntata speciale di “La Storia siamo noi” nel venticinquesimo anniversario della morte in Tunisia dell’ex primo ministro e segretario socialista. Oltre ai contributi del passato, ci saranno una serie di interviste. Con Minoli sarà in studio Massimo Franco, autore di “Il fantasma di Hammamet”.
Se fosse ancora nell’agone politico, che cosa sarebbe oggi Craxi?
“Non ho potere divinatorio, ma penso che ce ne sarebbe comunque bisogno”.
Berlusconi ne era un po’ il figlio politico?
“Assolutamente no, lo stesso Cavaliere disse che non doveva nulla a Craxi, ma almeno in una cosa doveva essergli grato...”.
Quale?
“Il decreto per la riaccensione delle sue tv”.
Chi è quindi l’erede di Craxi?
“Stiamo ancora aspettando che arrivi”.
Possiamo considerare il premierato della Meloni una rivisitazione del presidenzialismo craxiano?
“Gli assomiglia, sì, ma la visione di Craxi era superiore. Lui diceva una cosa assolutamente forte: che pur di fare passare il presidenzialismo era disposto a non candidarsi perché per lui era molto più importante la governabilità del Paese della sua persona. Un comportamento eccezionale”.
Craxi è stato travolto dalla bufera giudiziaria di Tangentopoli: la magistratura ha sempre la stessa forza?
“La situazione è cambiata da allora e anche la magistratura in parte è cambiata. Certo gli strascichi di quella supplenza violentissima che la giustizia aveva sulla politica si fanno ancora sentire”.
Chi ha tradito Craxi, a chi erano rivolti i suoi strali?
“De Mita disse che in quel momento non ci furono uomini di Stato e penso si riferisse a Scalfaro. Sarebbero davvero serviti statisti per affrontare le problematiche di quel sistema complesso che era sorto alla caduta del muro di Berlino. Il campo di gioco era cambiato rispetto alla guerra fredda di cui Sigonella è stato l’ultimo epigono”.
Che cosa era diverso?
“La caduta del socialismo reale: non c’era più quel mondo diviso in due quando stavi di qua o di là, quando, come diceva, i comunisti non sono sinistra, sono Est. Poi le cose si sono intrecciate, e d’altra parte nelle foreste i tronchi sono distanti ma le cime si toccano”.
In Tunisia il leader socialista era esule o latitante?
“Tecnicamente era latitante, ma lui viveva come un esiliato”.
Gli mancava l’Italia?
“Gli pesava ogni giorno la lontananza, e infatti c’è morto”.
Perché allora quando Cossiga gli chiese di rientrare e farsi giudicare non lo fece?
“Perché non si fidava assolutamente di quella giustizia che era politica e voleva la sua morte: aveva paura. E poi vedeva in quel gesto sminuita e dequalificata tutta la sua opera”.
Ma in realtà quali erano i rapporti di Craxi con la Dc?
“Con Fanfani lavorò per salvare Moro, con Forlani ha rifatto il Caf. Craxi era per il centrosinistra, non per l’alternativa di sinistra che gli chiedeva Berlinguer”.
Che cosa non lo convinceva?
“La considerava un’alternativa perdente”.
La sinistra fece una battaglia contro Craxi: pensa che possa cambiare qualcosa nella prospettiva in cui veniva visto?
“Sì, e prendo ad esempio due interventi di importanti esponenti del Pd che manderemo in onda. Il primo è di Piero Fassino: dice che Craxi aveva ragione quando propose di trattare per la liberazione di Aldo Moro contro il partito della fermezza che vedeva capofila il Pci. L’altro è di Goffredo Bettini che, commentando la chiamata di correo che Craxi fece in Parlamento, dice che il suo partito fu vigliacco perché lui descriveva un sistema che li coinvolgeva e dove erano dentro a tutto, compreso il 30% degli appalti pubblici. Già Berlinguer disse che il richiamo alla questione morale era rivolto anche all’interno del Pci”.
Come giudica queste dichiarazioni?
“Ammissioni molto tardive”.
Come visse Giovanni Minoli giornalista e uomo il lancio delle monetine all’uscita di Craxi dall’Hotel Raphael la sera del 30 aprile 1993?
“Fu un fatto sconvolgente. I comunisti che uscivano dal comizio di Occhetto in piazza Navona e gli estremisti di destra si unirono: un casino completo dal punto di vista politico”.
Perché c’è stata negli anni una rimozione della figura di Craxi?
“La rimozione serve per non raccontare”.
E ci sarà mai una pacificazione?
“Per farla sarebbe importante dire la verità delle cose. Non lo si volle fare con Mussolini: invece di mandarlo a processo e farlo parlare si è preferito ucciderlo. Così è stato in fondo per Craxi”. Due casi equivalenti?
“I tempi sono diversi, ovvio, ma Craxi ha avuto paura di morire durante il processo, per questo ha preferito l’esilio”.