Roma, 10 ottobre 2022 - Acceleratore e freno. È il registro che caratterizza Giorgia Meloni in questa fase. Da un lato la premier in pectore apre ad Ursula von der Leyen su una soluzione europea alla crisi energetica, dall’altro partecipa con un messaggio video alla convention di Vox insieme ai leader dei partiti nazionalisti e conservatori occidentali. È una Meloni Giano bifronte, che alterna i festeggiamenti sobri della vittoria elettorale, la ricerca di ministri tecnici, i richiami alla responsabilità, la prudenza sulla legge di bilancio ad alleanze politiche con Trump, Orban, Vox e tanti altri partiti nazionalisti di Europa.
Meloni ha vinto le elezioni sulla sua piattaforma euroscettica e nazionalista, ma deve governare da outsider in un clima economico e diplomatico molto complesso. È costretta a tenere insieme l’identità su cui ha costruito il consenso, con il realismo imposto dal governo. Deve conciliare i vincoli esterni della politica economica e internazionale, con il forte mandato politico interno. L’operazione è rischiosa perché la frequentazione di alleati sugli estremi dello schieramento europeo, ora che FdI è forza di governo, ha delle implicazioni sul piano diplomatico.
In questo momento di grande incertezza globale, la figura vincente di Meloni legittima e rafforza i partiti nazionalisti, mette in crisi i partiti moderati e centristi di destra e sinistra negli altri paesi europei. Per questo il benvenuto dei governi francese, spagnolo e tedesco alla vincitrice delle elezioni italiane è stato così freddo. Tra pochi giorni Meloni dovrà scegliere se dare precedenza all’essere il capo di governo italiano, chiamato a dialogare e trattare con gli altri grandi paesi occidentali e a costruirsi una reputazione solida, oppure all’essere il capo politico del resemblement nazionalista europeo. Non è detto che i due aspetti siano del tutto conciliabili in una fase politica così delicata, soprattutto con i tanti pregiudizi che i premier dei principali Paesi nutrono sulla leader di FdI. Ciò non significa che Meloni debba spogliarsi del tutto della propria identità conservatrice, ma implica una ridefinizione delle priorità politiche. Il patriottismo può essere rivolto verso la Ragion di Stato oppure nel forzare subito il sistema politico europeo. Prestarsi al gioco degli alleati conservatori, farsi ergere a simbolo della rivalsa può portare l’Italia verso l’isolamento dagli altri grandi paesi e Meloni ad essere marginalizzata. Una deriva che fa il gioco proprio di chi mira ad indebolire il nostro paese sul piano politico ed economico. È dunque il tempo delle scelte per Meloni: fare politica in Europa, da grande paese, oppure ai margini della stessa, come capofila dei nazionalisti?