Avanti tutta. Il vertice annunciato in Finlandia dalla premier è durato un attimo. Del resto, serviva a confermare solennemente quanto anticipato ad Atreju: "Non mollerò sui centri per migranti in Albania dovessi perderci il sonno". Il comunicato finale che arriva dopo un’oretta ribadisce "la ferma intenzione di continuare a lavorare, insieme ai partner Ue, e in linea con le conclusioni del Consiglio europeo del 19 dicembre sulle ’soluzioni innovative’ al fenomeno migratorio". Partecipano al summit i ministri competenti sul tema: in carne e ossa Matteo Piantedosi (Interno), Guido Crosetto (Difesa) e Tommaso Foti (Affari europei); in collegamento da Pristina Antonio Tajani (Esteri). Ci sono pure il sottosegretario Alfredo Mantovano e il consigliere diplomatico della premier, Fabrizio Saggio. Manca Matteo Salvini: è una riunione ’tecnica’, la spiegazione, ma da vicepremier la sua presenza non sarebbe stata fuori luogo. Per i maligni la premier ribadisce con i fatti che l’ipotesi di un suo ritorno al dicastero dell’Interno è fuori discussione. Lui, che ieri ci è tornato per firmare un protocollo sulla sicurezza nelle stazioni ferroviarie con Piantedosi, dopo aver postato sui social la foto della stretta di mano con il successore, avverte: "Il Viminale è guidato da una persona che stimo. Ho tanti dossier al Mit dove mi trovo benissimo, certo quel dicastero mi è restato nel cuore. Se la sorte mi riportasse a fare il ministro dell’Interno, sarei una persona felice".
C’è da dire che i convenuti a Palazzo Chigi non avevano molto discutere, le decisioni erano già state prese: i trasferimenti dei migranti nei centri di Shengjin e Gjader ripartiranno a gennaio, se non l’11 poco dopo, quando entrerà in vigore la norma che sposta dai Tribunali alle Corti d’appello la decisione sui trattenimenti. Di verdetti in sospeso ce ne sono parecchi, in particolare quelli sui ricorsi presentati dal governo in Cassazione dopo l’annullamento dei primi due trasferimenti in Albania, e potrebbe esprimersi anche la Corte europea. Ma la premier ha deciso di procedere perché si sente sostenuta dalla sentenza della Cassazione della scorsa settimana: "La suprema Corte ha detto che il potere di stabilire quali siano i Paesi sicuri spetta alla politica, dunque a noi". Il verdetto è double face, nella seconda parte afferma che il magistrato può valutare se tale designazione è legittima e, nel caso, disapplicare il decreto. Però, notano in ambienti governativi, "l’intervento non può basarsi su presunzioni: deve trovare fondamento in una istruttoria e limitarsi ai casi di esplicito contrasto della lista con i principi del diritto europeo e nazionale".
Tant’è: diversi sono i motivi per cui il governo vuole accelerare. Pesano considerazioni materiali: il protocollo con Tirana fa quadruplicare i posti a disposizione nei Cpr. In Italia sono 1.200, in Albania ce ne sono 3.000: diventerebbero 4.200. Poi, vuole farsi trovare pronto dal nuovo Patto di asilo e immigrazione che entra in vigore nel 2026 e prevede hub di smistamento nei Paesi terzi. Per non parlare dello sbandierato effetto deterrenza. Soprattutto, Meloni conta sul sostegno dell’Europa "emerso anche in occasione della riunione promossa insieme ai primi ministri danese e olandese con gli stati membri più interessati al tema a margine del consiglio europeo".
Moltissimo pesa l’accordo di ferro emerso in quell’eurovertice con Ursula von der Leyen. La lettera sull’immigrazione della presidente della Commissione Ue riprende punto per punto la visione della premier: "Ridefinizione dei Paesi sicuri entro i primi mesi del 2025", impulso "alle politiche di rimpatrio" e "attenzione ai metodi innovativi, sviluppando i concetti di return hubs in Paesi terzi". Infine, un importante input è arrivato dalla sentenza che ha assolto Salvini, legittimando il concetto di difesa dei confini dall’immigrazione clandestina. I colleghi ieri l’hanno applaudito in consiglio dei ministri, ma ad uscire penalizzato da quel verdetto è lui. Se gli se gli obiettivi sono identici, il metodo della premier è opposto a quello da lui utilizzato da ministro dell’Interno. Il governo cerca l’ accordo non il contrasto con Bruxelles. "È una soluzione giusta, che rispetta le regole comuntarie – sottolinea Tajani – andremo avanti per contrastare i trafficanti di essere umani". Un ritorno di Salvini sul fronte dell’immigrazione sarebbe un problema per la premier. Lo eviterà ad ogni costo.