Roma, 24 maggio 2024 – Si dimette o no? La domanda percorre martellante i corridoi del Palazzo per otto ore: tutta la durata, cioè, dell’interrogatorio di Giovanni Toti. Certo, con propensioni e sentimenti molto diversi. Pd e M5s insistono sulla necessità che il governatore getti la spugna: "Quello che emerge è estremamente grave, la Liguria non può restare appesa. C’è una questione di opportunità politica che viene prima della sentenza", dichiara la segretaria democratica, Elly Schlein.
Opposto il giudizio di Matteo Salvini: "Penso che sia innocente e mi pongo una domanda – dice il leader della Lega –. Era necessario l’arresto di un governatore a un mese dalle elezioni e per episodi avvenuti l’anno prima?".
La risposta, comunque, è no. Per ora, almeno, Toti non si dimette. Non si è rassegnato: punta tutto sulla revoca degli arresti domiciliari che gli offrirebbe l’appiglio per non lasciare subito il posto. Di qui la scelta di collaborare con i magistrati "alla ricostruzione della verità, per restituire alla mia figura di uomo e di servitore dello Stato la dignità che ho costantemente cercato di preservare", mette nero su bianco nella memoria che consegna ai pm durante l’interrogatorio. "Nel mio percorso politico ho sempre perseguito l’interesse pubblico, il quale è il fine unico ed ultimo della mia azione". La sua difesa non è solo tecnica ma anche politica. Giustifica la scelta di ricorrere – ma sempre, assicura, nei limiti della legalità – al finanziamento privato "quale risorsa" per realizzare nel modo migliore l’interesse pubblico, come "costantemente rivendicato nel programma politico della maggioranza che mi sostiene". Giura che la sua attività "è sempre stata tesa alla tutela della dignità e del lustro della Regione". E che "ogni euro incassato ha avuto una destinazione politica". Nessun contributo ha prodotto un suo "arricchimento personale".
Ora la parola passa al gip. Ma la revoca degli arresti domiciliari potrebbe non bastare. Se il tribunale l’accompagnasse infatti con una sospensione dell’attività, il problema sarebbe immutato. Un governatore non in grado di governare non è contemplato in politica. Ma anche se tutto andasse bene, non è affatto detto che Toti riesca a restare al suo posto. Antonio Tajani ufficialmente fa scudo: "Se gli revocheranno i domiciliari si andrebbe nella direzione di una permanenza di Toti alla regione". In realtà, a porte chiuse Forza Italia condivide lo stesso dubbio della premier: insomma, si chiedono a Chigi, libero da misure restrittive, sarebbe veramente in grado di governare con la spada di Damocle dell’inchiesta che gli pende sul capo? Quale imprenditore – è il ragionamento – parlerebbe con lui sapendo che potrebbe finire indagato? E nessuno nel centrodestra vuole la paralisi della Liguria: "I cantieri vanno avanti – scandiscono in coro Salvini e Tajani –. Guai se le inchieste fermassero l’Italia". Gli fa eco il neo-presidente di Confindustria, Emanuele Orsini: "Il nostro interesse è che a Genova non si blocchino le merci ed i lavori".
Ma sull’opportunità di scavallare le Europee se fosse possibile nessuno ha dubbi: dimettersi ora subito dopo l’interrogatorio è fuori discussione, suonerebbe come confessarsi indifendibili. Anche le dimissioni prima del 9 giugno sarebbero incresciose: quasi un’ammissione di colpa. C’è la possibilità però che la scelta del pm renda necessario il doloroso passo: in quel caso, meglio evitare che succeda proprio a ridosso del d-day. Insomma, le dimissioni potrebbero arrivare la settimana prossima oppure a urne chiuse. Sempre che il governatore si convinca dell’ineluttabilità del passo che porterebbe al voto in autunno.