Venerdì 20 Dicembre 2024
RAFFAELE MARMO
Politica

Il Raphael 30 anni dopo. "Le monetine? Barbarie. E ora su Mani pulite bisogna dire la verità"

Stefania Craxi, figlia del leader socialista e senatrice di Forza Italia: "Senza trasparenza non può esserci vera pacificazione. Gli istigatori dell’odio erano nel Pci, da lì nacque il populismo"

Craxi con la figlia Stefania

Che cosa è stata la serata delle monetine contro Bettino Craxi al Raphael il 30 aprile di trenta anni fa?

"Rispondo con le parole di Craxi – scandisce Stefania Craxi -. Una barbarie, un evento squadrista. Dico un evento squadrista non a caso, che continua a produrre i suoi contraccolpi".

Nel senso?

"In questi giorni è tornata di attualità una polemica sterile tra Fascismo e Antifascismo. Io non credo che il pericolo che corre la democrazia sia il ritorno del Fascismo, ma che la delegittimazione dell’avversario politico, delle idee e delle posizioni altrui porti alla violenza, quella vissuta in altre epoche".

L’episodio fu uno spartiacque tra le due Repubbliche.

"Nell’immaginario collettivo segna la fine della Prima Repubblica ma anche del primato della politica, e al contempo schiude le porte a una crisi di sistema. Dà la stura all’antipolitica e allo scontro perdurante con una parte della magistratura".

Da dove nasceva quell’attacco a suo padre?

"Scaturiva dall’aria mefitica di Tangentopoli, da quel moralismo militante, come io chiamo il giustizialismo, che la sinistra inoculò nel sistema politico e nella società italiana. Ma, in realtà, la caccia al “cinghialone“ era cominciata molti anni prima".

Si riferisce alla guerra a Craxi fatta dal Pci?

"Certo. Ricordo che bruciavano la sua effigie e che alle feste dell’Unità mangiavano la trippa alla Bettino. Adesso cominciano ad emergere anche scritti che indicano come già negli anni ‘70 cercarono di creare il mostro Craxi. Del resto, il braccio destro di Enrico Berlinguer, Tonino Tatò, disse che era un capobanda. Dunque, quelle monetine erano figlie del clima infame del momento, ma la demonizzazione veniva da lontano".

Chi c’era davanti al Raphael quella sera di primavera?

"Era un drappello di militanti inferociti e aizzati, che arrivavano dal comizio di Occhetto di piazza Navona, con qualche missino. Si disse, anche in ambienti giudiziari, che le monetine erano una sentenza emessa dal tribunale del popolo a cui i magistrati non avrebbero potuto che uniformarsi e fare eco, il che rende bene l’idea dei processi sommari del tempo".

Occhetto dice oggi: "Quelle immagini mi colpirono umanamente e politicamente. Fu un esempio di barbarie innescata dal furore giustizialista".

"Non ricordo che Occhetto rimase contrariato e che fece queste valutazioni. Lo dice ora solo perché sente l’aria. Non si può difendere l’indifendibile".

Che cosa ricorda di quella sera? Come la visse?

"Ero in attesa della mia terza bimba che non a caso si chiama Benedetta. Era una gravidanza difficile. Ero allettata a Milano. Quella scena terribile la vidi in televisione, al Tg3. La prima reazione emotiva fu il dispiacere per non essere lì con mio padre. Lui mi chiamò, prima di andare all’Istruttoria di Giuliano Ferrara, che gli chiese: ma lei ha avuto paura? E lui: paura no, ho avuto vergogna. Per loro. Mi chiamò anche dopo e mi trovò scossa. Mi disse: non piangere. E in quel “non piangere“ c’era tutto Craxi, tutto quello che io avevo percepito fin da bambina".

Vuol dire che per suo padre lei doveva essere preparata anche al peggio?

"Noi appartenevamo a una famiglia politica, e la politica può essere molto dura, crudele. Ha a che fare con la vita e con la morte, devi sapere quale è il tuo posto, quale la tua responsabilità. Nell’ufficio di mio nonno, giovane avvocato messinese, si riuniva il Cln lombardo. Per dire da dove venivamo. Io, questo suo messaggio, l’ho avvertito fin da piccola, negli anni del terrorismo come in quelli successivi".

Certo è che quella vicenda fu uno dei momenti di svolta di Tangentopoli.

"Il grande scontro che sottintende a quella brutta pagina di storia è quello tra il potere economico-finanziario e la politica che avvenne in tutto il mondo occidentale, da noi con particolare violenza. E a sostegno di quella falsa rivoluzione mediatico-giudiziaria fu alzato dai giornali che appartenevano ai grandi gruppi finanziari il vento dell’antipolitica. Un vento sollevato da chi non poteva certo fare la morale".

Si riferisce al Pci-Pds.

"Vorrei ricordare che il Pci nell’arco della prima Repubblica prendeva ordini e soldi da una potenza militare nemica del nostro Paese. Per di più, i comunisti partecipavano anche al finanziamento illegale della politica, che è parte della Guerra Fredda, e che per le forze legate all’Occidente è stato necessario per tenere questo Paese dalla parte del mondo libero. Se vogliono parlare di lotta al malaffare, dopo trenta anni ci si dovrebbe domandare come mai le inchieste colpirono in maniera mirata e selezionata alcune parti politiche mentre altre non sono state perseguite. L’onestà di quest’ultimi, come la loro attitudine agli affari, l’abbiamo vista in questi ultimi decenni".

Quel vento, in realtà, non ha smesso di soffiare.

"Gli effetti di quella brutta vicenda hanno avuto ripercussioni e li stiamo vivendo tutt’oggi. Larga parte della politica è debole, subalterna, insegue ma non sa indicare una rotta. E quel vento negli anni ha devastato tutto: i partiti come le istituzioni repubblicane. Ipocrisie e menzogne hanno avvelenato la vita civile e democratica".

Pd e grillini restano giustizialisti o, come dice lei, moralisti militanti?

"I grillini sono e sono stati i figli dei lanciatori di monetine del Raphael. Dal Pd mi pare purtroppo che si siano levate ben poche voci, anche il 25 aprile, per dire che bisogna finirla con un clima da guerra civile perdurante. Serve avviare una fase di pacificazione nazionale che passa anche da un’operazione verità sul biennio ’92-’94".