Emanuele Felice, una cattedra alla Iulm di Milano, ex responsabile economia del Pd, storico ed economista, non nasconde il suo scetticismo sulla prossima Manovra, critica la scelta di Fitto a commissario Ue e lancia un invito a Renzi e Calenda nella prospettiva del campo largo: "Facciano un passo indietro".
Professore, partiamo dalla Manovra. Cosa possiamo aspettarci, realisticamente?
"Una manovra che riuscirà a confermare a malapena le due misure più significative, il taglio del cuneo fiscale e la rimodulazione dell’Irpef. Per il resto non riuscirà a fare di più. Mancano le risorse e si prepara un periodo di negoziazione molto duro con l’Europa. Temo che si punti ancora a risparmiare su sanità e istruzione, due settori fondamentali per lo sviluppo del Paese e per la vita delle persone".
Il governo sostiene l’esatto contrario e annuncia ha una Manovra che ha al primo posto famiglie e imprese.
"Ognuno fa la sua narrazione, ma non ho visto, da quando Meloni è al governo, una misura di redistribuzione del reddito e dei diritti per i meno abbienti".
Però l’economia non va malissimo. Anzi, abbiamo il record di occupati dal 2017.
"Attenti a non esagerare. Noi siamo tornati, ultimi fra i Paesi europei, alla situazione ante 2008. E abbiamo raggiunto questo risultato dopo un lungo percorso e grazie agli investimenti messi in campo dall’Europa. Ma le prospettive non sono rosee: se la Germania non cresce soffre anche l’industria italiana. Inoltre, siamo il Paese con la maggior quota di lavoro povero dopo la Grecia. Eppure, questo governo, continua ad opposi al salario minimo ed ha perso tempo nella rinegoziazione del Pnrr. Un’operazione dettata soprattutto dalla volontà di accentrare la catena di comando".
Cosa bisognerebbe fare?
"Andrebbe superata la flat tax per le partite Iva, che tra l’altro è anche un incentivo all’evasione. Si recuperebbero risorse per tre aree cruciali per il Paese: sanità, istruzione e pubblica amministrazione. Altre risorse si potrebbero recuperare alla riforma delle concessioni balneari. Tutte cose che intaccherebbero il consenso del governo".
Cosa ne pensa di Fitto come commissario Ue?
"È una scelta di partito, fatta in continuità con il potere meloniano e rinunciando a valorizzare figure più esterne e maggiormente competenti. Penso, un nome per tutti, a Mario Draghi, su cui Meloni avrebbe potuto puntare fin dall’inizio della partita europea. Inoltre, l’Italia si è autoesclusa dalla grande partita della riforma della governance Ue. Eppure, con il nuovo patto di stabilità, gestito male dall’Italia, saremo vincolati a politiche restrittive e gli unici spazi di manovra potrebbero arrivare proprio dalle politiche espansive Ue".
Anche il centrosinistra ha i suoi problemi. Sul campo largo il dibattito si è arenato.
"Negli ultimi mesi si è parlato solo di Renzi si o Renzi no. Un nome indigesto ad una parte del centrosinistra che rischia di far perdere più voti di quelli che riuscirebbe a portare. Ma il problema, nel cosiddetto campo liberal-democratico, è un altro e riguarda proprio la leadership".
Cioè?
"Il progetto politico dei due protagonisti, Renzi e Calenda, è fallito. Sono due leader che hanno fatto il loro tempo. Il segretario del Pd, Letta, dopo aver perso le elezioni, si è dimesso. Renzi e Calenda hanno perso e sono ancora lì. Se fossero due leader responsabili Il rischio è non solo i non aiutare il centrosinistra ma essere fagocitati da Forza Italia che si sta rafforzando".
E se non si dimettessero?
"Penso che la classe dirigente dell’area liberale – Italia Viva, Azione e Partito Radicale – dovrebbe avviare una fase costituente e trovare un nuovo leader. Ma è un compito che spetta solo a loro".