Roma, 21 dicembre 2024 – C’è assoluzione e assoluzione. Quella che ha gratificato ieri Matteo Salvini è la migliore in assoluto: il fatto non sussiste. Per ulteriori delucidazioni sulla decisione della seconda sezione penale del tribunale di Palermo per il processo Open Arms bisognerà attendere le motivazioni che arriveranno entro 90 giorni. Ma la formula letta dal presidente della corte, Roberto Murgia, giustifica la soddisfazione di Giulia Bongiorno, senatrice leghista e principessa del foro, nota per avere alle spalle un’assoluzione eccellentissima: quella di Giulio Andreotti. "Non si tratta di un’assoluzione con qualche se o qualche ma. È una sentenza dove non c’è una prova contraddittoria ma c’è una prova piena che non sussiste alcun reato. Non è una sentenza contro i migranti, ma contro chi sfrutta i migranti".
Il verdetto che assolve dall’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio il vicepremier leghista arriva dopo otto ore di camera di consiglio in un’aula stracolma. Salvini passa subito all’incasso: "Dopo tre anni ha vinto il buonsenso, ha vinto la Lega, ha vinto l’Italia. Ha vinto il concetto che difendere i confini, contrastare i trafficanti non è un reato, ma un diritto". Dal suo punto di vista, almeno in questo primo grado di giudizio, sarebbe stata forse persino più utile una condanna. Ma il processo era una di quelle partite in cui avrebbe vinto comunque. La condanna gli avrebbe regalato l’aura del martire, l’assoluzione con formula piena giustifica completamente la sua strategia di contrasto ruvidissimo all’immigrazione. "Questa sentenza assolve un’idea di Paese – sottolinea il Capitano –, abbiamo rischiato ma chi non rischia non va da nessuna parte. È stata un giornata importante, perchè è stato sancito il principio che fermare l’invasione e arginare le ong straniere non è stato un reato, ma un mio dovere". Alla vigilia circolava nella maggioranza il timore di una sentenza a metà: riconoscimento della non colpevolezza per l’accusa di sequestro, la condanna per il rifiuto di atti d’ufficio. Meglio di così per Salvini non poteva andare. "Chi usa i migranti per fare battaglia politica oggi ha perso e torna in Spagna con le mani in saccoccia", dice ancora. Chiaro il riferimento al fondatore della ong, Oscar Camps, anche lui a Palermo. "Valuteremo se presentare l’appello, come anche speriamo farà la procura. Ma il nostro lavoro non si ferma", assicura.
E non si ferma neppure Salvini che, intervistato da Bruno Vespa su Raiuno, punta il dito contro l’opposizione: "Mi spiace per i milioni di euro che il processo intentato da Pd e 5 Stelle è costato agli italiani". Ci sarà pure un giudice a Palermo, come sottolinea l’altro vicepremier, Antonio Tajani, ma certo Salvini non cambia idea sulle toghe e rilancia: "Ora bisogna pensare anche alla giustizia di domani, io ho le spalle larghe, anche in caso di condanna sarei andato avanti ugualmente".
L’epilogo del processo è stato sofferto: i giudici (Murgia, Andrea Innocenti e Elisabetta Villa) si sono riuniti in camera di consiglio alle undici e trenta, dopo che nell’aula bunker del carcere Pagliarelli accusa e difesa avevano ribadito le proprie posizioni. E cioè, da una parte la richiesta di condanna a sei anni di prigione per il vicepremier, che all’epoca dei fatti (agosto 2019) era ministro dell’Interno (ruolo che Elon Musk si augura ricopra di nuovo): "I 147 migranti salvati dalla ong che per diciannove giorni sono rimasti a bordo senza sbarcare a Lampedusa avevano diritto di scendere non perché malati, ma perché uomini liberi", spiega Marzia Sabella, uno dei procuratori aggiunti. Il pool difensivo di Salvini, invece, è tornato a chiedere l’assoluzione perché "i migranti a bordo sono stati trattenuti dagli attivisti di Open Arms. La ong aveva un disegno politico".
Finisce così la giornata di Salvini, iniziata alle nove con un presagio ottimista: un arcobaleno sul carcere. Prima l’aula, poi la passeggiata in centro con la fidanzata, Francesca Verdini, il pranzo con i fedelissimi, dal ministro Valditara al sottosegretario Durigon. Poco prima delle 20 il verdetto di assoluzione che si riflette nel sorriso di Francesca Verdini che abbraccia sollevata il compagno. Una vittoria che non è solo un fatto privato o esclusivamente giudiziario: è una vittoria politica.