
La segretaria del Partito democratico Elly Schlein è nata a Lugano 39 anni fa
Roma, 10 marzo 2025 – L’unità di facciata del Pd è al capolinea. Sicuramente di nome, ma probabilmente anche di fatto. Perché la posizione critica, per non dire dissidente, assunta dalla segretaria Elly Schlein sul piano di ReArm Europe è destinata solo a due sbocchi. O pervenire a più miti consigli, all’insegna dell’europeismo fondativo del Pd e fortemente propugnato dall’alta autorità morale del Quirinale, o deflagrare in un rottura che potrebbe persino presagire forme di separazione. Il primo fondatore Romano Prodi, del resto, spiega che il riarmo "è una tappa per arrivare alla difesa comune", che se si fosse già fatto la Russia non avrebbe attaccato e ormai "l’America ha unito gli europei".
Quando si comincia a parlare di guerra, del resto, non ci sono vie d’uscita. Molto più che in tema di referendum sul lavoro e l’articolo 18. Dopo che la segretaria aveva incassato un equivoco via libera alla relazione in cui sosteneva i referendum, ma non disconosceva il dissenso – all’insegna di un pluralismo interno sin troppo lasco in tema di politiche sociali, che non possono certo essere annoverate tra le materie eticamente sensibili rimesse alla libertà di coscienza –, il caso ReArmEu è deflagrato superando tutte le questioni sul tappeto. A cominciare appunto da referendum destinato a un’affluenza sempre meno partecipata. Il che potrebbe diventare motivo di rimprovero nei confronti dei vertici del Nazareno, se non fosse appunto che le vicende europee e del riarmo mutano totalmente lo scenario.
Convinta che la segretaria mitigherà la propria posizione, la minoranza fa sapere con Alessandro Alfieri che "questa volta non intendiamo mollare". Anche perché è prima di tutto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che vuole un Pd, il suo partito, allineato alla politica di riarmo e personalmente è anche molto preoccupato della minaccia russa. A differenza della base dem che, come sintetizza l’esponente della sinistra Arturo Scotto, forse sostiene davvero la segretaria "contro il riarmo nazionale e per un Next generation che rilanci l’economia a partire dal modello sociale europeo e una politica estera comune". Come del resto si evince anche dagli apprezzamenti social nei riguardi delle posizioni anti interventiste del leghista Matteo Salvini che hanno suscitato lo sdegno di qualche dirigente.
Dunque Schlein può solo mediare all’insegna della collocazione nell’establishement di Bruxelles o andare allo scontro in nome dell’impervia via pacifista contro il piano di ReArmEu. Nel primo caso comprometterebbe, oltre alla coscienza delle proprie opinioni, le alleanze con 5 Stelle e Avs determinanti per vincere le regionali di tutto rispetto del 2025. E non si tratta di una partita irrilevante, visto che sono in ballo regioni come la Campania – dove il pirotecnico governatore Enzo De Luca si esibisce da pasdaran pacifista – e le Marche, dove l’ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci, che per primo ha imbarcato i 5 Stelle, potrebbe vincere appunto con un fronte ampio. Quale sarebbe utile anche n Toscana e in Puglia. Mentre in Veneto Lega e Fratelli d’Italia arriveranno primi e secondi anche divisi.
Nel secondo caso Schlein dovrebbe probabilmente mettere in conto lo showdown, come il congresso prospettato dal fondatore cattolico Luigi Zanda, destinato a sancire una frattura fra la base liberal rappresentata dalla segretaria e la minoranza riformista che vuole rimanere nell’alveo del socialismo europeo e vorrebbe evitare la conta. Film già visto nel 1914 quando, a parti investite, i partiti operai scelsero le ragioni nazionali e votarono i crediti di guerra nazionali a scapito del pacifismo internazionalista, in nome del quale l’unico a finire in carcere in Inghilterra fu il filosofo Bertrand Russell.