Mercoledì 23 Aprile 2025
ANTONELLA COPPARI
Politica

Il negoziato con Trump. Difesa e gas, il piano di Meloni

Spese militari entro quest’anno al 2 per cento del Pil e l’Italia è disponibile ad acquistare il gnl statunitense

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e la premier Giorgia Meloni

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e la premier Giorgia Meloni

È partito il conto alla rovescia per la missione politica internazionale più importante di Giorgia Meloni. L’appuntamento chiave è quello di giovedì a Washington con Trump, ma quasi altrettanto importante è l’incontro con il vice J.D. Vance il giorno dopo a Roma. Il vicepremier Antonio Tajani ufficializza il target della missione: "Il nostro obiettivo è quello di arrivare a zero dazi da una parte e zero dazi dall’altra per creare un grande mercato euro-americano". L’ambizioso traguardo concordato dalla premier al telefono con Ursula von der Leyen è un obiettivo di massima. Su questo fronte è già a Washington il commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic, dunque il ruolo di Giorgia non potrà che essere quello di "facilitare" le cose. Nei suoi auspici, ma anche in quelli dell’Europa e forse persino in quelli dell’opposizione, quella "facilitazione" dovrebbe rivelarsi determinante.

Sul tavolo però – assieme alla guerra in Ucraina e in Medio Oriente – ci saranno una serie di questioni più circoscritte, ma anche più puntuali per gli interessi specifici dell’Italia. Si parlerà di investimenti reciproci in entrambi i Paesi, questione delicata dal momento che l’obiettivo della campagna di Trump è proprio rilanciare la produzione localizzata sul territorio statunitense. Fondamentale il capitolo gas e armi: sul gas naturale liquefatto Usa (gnl) la posizione italiana non dovrebbe essere blindata. "Eni acquista gas da diversi Paesi – dicono dal governo – se è conveniente, può aumentare le forniture dagli States". Sulle armi gli acquisti europei e dunque anche italiani sono garantiti, ma potrebbero essere calmierati dalla decisione di Bruxelles (invisa a Palazzo Chigi) di rendere obbligatorio l’acquisto di armi al 65% made in Europe. L’aspetto più delicato, però, riguarda l’aumento delle spese per la Nato. L’Italia è ancora lontana dal tetto del 2% del Pil già pattuito con l’Alleanza atlantica.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – che andrà a Washington per la riunione del FMI subito dopo Pasqua, e lì incontrerà l’omologo a stelle e strisce – assicura che ci si arriverà con la finanziaria di quest’anno e senza attivare la clausola di salvaguardia prevista dal Piano di Riarmo (ora rinominato Readiness 2030), ovvero senza deroghe al Patto di stabilità. Tajani dice che è questione di giorni se non di ore: "Noi siamo pronti ad arrivare al 2% e presto ci sarà l’annuncio ufficiale da parte del presidente del Consiglio". Con questo biglietto da visita Giorgia si presenta alla Casa Bianca, ma quel 2 a Trump non basta, chiede il 5 per chiudere la contrattazione al 3.5%. La premier sarebbe propensa ad accogliere l’impegno non subito, ma per il 2027.

Non tutti nel governo sarebbero d’accordo. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in particolare, insisterebbe per arrivare subito al 3% il che implicherebbe l’attivazione della clausola. L’opzione è problematica da due punti di vista: significherebbe fare ulteriore deficit, e questo sia Giorgetti che Meloni vogliono evitarlo tanto più ora che le agenzie di rating premiano la capacità italiana di riprendere le redini del debito.

Persino più stringente la motivazione politica: per fare debito senza incorrere nelle maglie del Patto di stabilità bisognerebbe attivare la clausola di salvaguardia e questo equivarrebbe ad accettare il Piano di Riarmo Ue cosa che la Lega non è disposta a fare. Crosetto aveva provato giorni fa a superare gli ostacoli fissando il principio per cui "i cambiamenti internazionali ci obbligano a impegnare maggiori risorse per la Difesa". L’attacco a russo Sumy gli dà altri argomenti: "È questa l’idea di pace di Putin e dei suoi alleati italiani?". Chiara l’allusione ai leghisti. È però difficile immaginare che Meloni e Giorgetti rischino una spaccatura senza precedenti della maggioranza per fare un debito che non vogliono contrarre.