Non piace a nessuno, volevano cambiarla tutti. In modi opposti, però. Giorgia Meloni puntava a eliminare la norma ’antiribaltone’ per tornare alla formula originaria: se cade il premier eletto si torna a votare. La Lega tirava in direzione opposta: chiedeva di allentare i vincoli sul nuovo premier, purché rigorosamente fedele al programma. Con il presidente del Veneto, Zaia, che ieri rincarava la dose: "Perché un limite ai mandati dei governatori e dei sindaci e non dei capi di governo?". Invece, il testo che arriva oggi in Consiglio dei ministri – salvo illuminazioni notturne – combacia con la bozza resa nota nei giorni scorsi e bersagliata da critiche. Quelle dell’opposizione erano scontate in partenza, e per il governo sono trascurabili.
Più dolorose quelle dei tecnici, che hanno evidenziato le falle di questo disegno di legge costituzionale di cinque articoli dal titolo ’Introduzione dell’elezione popolare diretta del presidente del Consiglio dei ministri e razionalizzazione del rapporto di fiducia’, che porta la firma della ministra Elisabetta Casellati. Ma, appunto, il governo ne è consapevole: ha deciso di posticipare il momento delle scelte. Buona parte dei nodi irrisolti saranno affrontati al momento di varare una nuova legge elettorale, probabilmente nei sei mesi che devono passare tra la prima e la seconda lettura del Parlamento. Nelle intenzioni di Giorgia Meloni la prima lettura dovrebbe concludersi a ridosso delle Europee, "in tandem con l’Autonomia: camminano di pari passo", spiega. La riforma costituzionale fissa già un paletto: il premio di maggioranza che dovrebbe portare comunque la coalizione che sostiene il vincitore al 55%.
Formula accettabile con un sistema a doppio turno, molto meno con il turno unico. In questo caso, con più di due poli in campo, si potrebbe arrivare a un premio monstre dal 20 al 25%. E la Consulta ha già bocciato questa surreale ipotesi nel caso del ’Porcellum’. Da Chigi non escludono la possibilità del doppio turno, anche se la destra lo ha sempre considerato, a ragione, una iattura. Proprio perché quella formula avvantaggerebbe il centrosinistra si ragiona anche su un’altra ipotesi: una soglia (magari al 40%) sotto la quale il premio di maggioranza non scatterebbe. Altro guaio cui il governo pensa di ovviare con la riforma elettorale è il problema del Senato che deve essere eletto su base regionale.
Ma per quanto riguarda la norma antiribaltone non c’è legge elettorale che tenga. Di fatto il premier eletto dal popolo"per cinque anni" potrà essere sostituito, anche se soltanto per una volta ("dopo il capo dello Stato scioglierà le Camere") la maggioranza potrà essere modificata la sola vera garanzia contro il ribaltone è il famoso programma: Salvini lo esalta apertamente. "Se i cittadini finalmente possono eleggere un Presidente del consiglio, una squadra, una maggioranza, una coalizione e un programma che non può cambiare altrimenti si torna al voto, penso sia un atto di serietà". Perfetto, a parte il fatto che i programmi in Italia sono sempre stati puntualmente trasgrediti. Insomma "il programma" tutto può fare tranne che garantire l’assenza di ribaltoni. Sia l’opposizione che la maggioranza si preparano comunque a una battaglia referendaria senza paragoni nel passato recente. La consultazione popolare non sarà su una riforma specifica e neppure su un Presidente del consiglio. Sarà sul mantenere o meno un Parlamento all’altezza di questo nome.