Sempre più uomini e donne sole al comando. E mai come in questo 2024 la personalizzazione della politica l’ha fatta da padrona, con le divisioni tra schieramenti che hanno lasciato spazio ai duelli personali. E dove sono emersi personaggi che hanno addirittura oscurato il partito che li proponeva e sosteneva, fino a diventare loro stessi un’idea diversa di leader possibile per quell’area.
Lo si è visto in modo chiaro durante le elezioni europee, quando questo cambiamento ha preso i volti di Ilaria Salis (Avs) e del generale Roberto Vannacci, arrivati entrambi poi a Bruxelles ma sull’onda di vicende personali (l’una il carcere in Ungheria, l’altro un libro provocatorio e di grande successo) acclamati dalle urne ma con incerta esperienza per la poltrona occupata.
Colpa degli elettori che ormai votano "di pancia", affascinati più dai singoli che dall’idea politica che incarnano? Possibile. La prova la darebbe chiaramente il binomio femminile principe di questa sfida, ovvero quello Meloni/Schlein, la prima in pieno consolidamento della sua leadership a destra e la seconda alla guida del Pd e in gramaglie nel fantomatico campo largo per colpa di un M5s squassato dalla lotta al vertice, Grillo contro Conte, due ego ingombranti a confronto, con il secondo alla fine vicitore sul primo e idee chiare quanto diverse su dove portare il mobimento ormai diventato partito (una terza via rosso-bruna? Chissà).
Eppure c’è ancora chi crede che in Italia le elezioni si vincano al centro. Romano Prodi, per dire, è uno di questi. Tanto che nell’ultima parte dell’anno ha regalato un sussulto ai (pochi) democristiani rimasti nell’agone politico, avallando l’idea di una fantomatica nuova Margherita 2.0. Non ha ancora funzionato. Ad allargarsi al centro pensano anche uno come Antonio Tajani, in crescita di consensi con Forza Italia, nonché il sempiterno Matteo Renzi, con idee in verità meno chiare sul futuro della sua Italia Viva.
Personaggi, dunque, più che idee politiche e schieramenti. Come l’ex governatore ligure Giovanni Toti che alla fine ha patteggiato per accuse sempre rifiutate con sdegno o Gennaro Sangiuliano costretto a dimettersi da ministro perché travolto da una debolezza più forte di lui. O, alla fine, anche Matteo Salvini. Assolto a Palermo ma non assolto dalla Lega e neppure dai suoi alleati di governo che lo vedono ormai come colui che punta solo a tornare al Viminale. Non per il bene del governo, ma per rivincita. Ovviamente, personale. Questi i presupposti per un 2025 che la politica comincerà a scrivere, ormai tra pochi giorni.
Elena G. Polidori