Roma, 15 febbraio 2021 - Il potere logora chi non ce l’ha, diceva Andreotti. Ma a volte anche una vittoria eclatante come quella del centrodestra nelle regionali di Lazio e Lombardia non significa che per la Meloni, da ora in poi, sarà tutto un cammino in discesa. E’ vero che il risultato delle elezioni, al di là di ogni più rosea aspettativa, è stato interpretato come una sorta di test-fiducia sui primi cento giorni del governo. E la vulgata che gira dalle parti di Palazzo Chigi è che il risultato ha rafforzato anche la maggioranza. A sorpresa, poi, come una ciliegina sulla torta, arriva perfino il viatico del segretario uscente del Pd, Enrico Letta, che con il New York Times si spinge perfino a fare i complimenti alla premier: "E’ stata migliore di quanto ci aspettassimo sulle questioni economiche e finanziarie. La realtà è che lei è forte. E’ in piena luna di miele, senza un’alternativa all’interno della maggioranza e con l’opposizione divisa". Tutto bene, allora. In realtà, dietro le quinte, non mancano i problemi e i distinguo. Tanto che la premier ha già messo in campo un vero e proprio crono-programma per blindare il cammino dell’esecutivo. Non sarà facile perché dalla giustizia alla politica estera, dal fisco alle pensioni, fino alla Rai, le diverse anime del "destra-centro" si faranno sicuramente sentire.
La prima "emergenza" è la politica estera. Il caso è scoppiato dopo le dichiarazioni di Berlusconi su Zelensky all’uscita dal seggio: "Bastava che cessasse di attaccare le due Repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto, quindi giudico molto negativamente il comportamento di questo signore". Parole che ieri sono state duramente contestate anche dal Ppe. Ed hanno creato problemi alla Meloni, alla vigilia della missione a Kiev programmata entro una decina di giorni. Ieri, il Cavaliere, ha voluto battere un colpo, ribadendo che Forza italia resta una forma numericamente e politicamente rilevante. Un messaggio indiretto a chi nell’inner circle della Meloni vorrebbe spingere per archiviare la lunga stagione del Cavaliere, magari puntando tutte le carte sul ministro degli Esteri, Antonio Taiani.
L’altro grande tema divisivo resta quello della giustizia. Neanche il tempo per brindare alla vittoria delle elezioni che Fi, Lega e Terzo Polo si presentano uniti per accelerare su una delle riforme cardine del programma della maggioranza, la separazione delle carriere dei magistrati. Per ora, all’appello manca ancora FdI che, con il presidente della Commissione Giustizia della Camera, Ciro Maschio, spiega di voler attendere ancora un po’. Mettere ora in campo il singolo ddl, senza "accompagnarlo con una riforma più organica dell’intero processo penale" che necessiterà comunque di essere modificato alla luce della separazione delle carriere, sarebbe un intervento a metà. Così, FdI preferisce attendere che Nordio cali le sue carte sulla complessiva riforma penale, prima di schierarsi con il resto del centrodestra. Del resto, fin dalla cattura di Messina Denaro, la Meloni ha ordinato ai suoi di non continuare ad attaccare i magistrati. E l’arresto del boss ha mostrato che le intercettazioni, altro tasto delicato della riforma Nordio, sono uno strumento indispensabile alla lotta alla criminalità organizzata.
C’è poi il grande tema della riforma dello Stato, a cominciare dalla versione aggiornata del federalismo in salsa leghista, quella dell’autonomia differenziata. Un cavallo di battaglia di Salvini e dei governatori del Nord che rischia però creare nuovi solchi nella maggioranza, con i colpi di freno di Fdi preoccupati per l’effetto che le nuove regole potrebbero avere sull’elettorato del Sud. Così come il presidenzialismo, con tutte le sue varianti. Infine, il fronte Rai, con l’assedio leghista all’Ad, Fuortes. Ieri, ad infuocare il fronte è stato proprio il leader del Carroccio, Matteo Salvini, che ha rilanciato un vecchio cavallo di battaglia: "Non si capisce perché Mediaset è gratis e la Rai no. Bisogna togliere il canone dalla bolletta e lavorare per ridurlo, abbassarlo o, come in altri Paesi europei, per eliminarlo".
Insomma, a giudizio del vicepresidente del Consiglio, ‘va ripensato profondamente il ruolo del servizio pubblicò. Ad aver irritato particolarmente il leader della Lega sarebbe stato il compenso, a suo giudizio eccessivo, versato a Roberto Benigni per l’esibizione sulla Costituzione. Una bordata che arriva proprio a ridosso della nuova tornata di nomine.