Roma, 22 dicembre 2024 – La vicenda della ‘censura’ romana a Tony Effe sarà anche un caso politico con relativa figura di Emme di chi l’ha prima invitato e poi disinvitato ma, data la statura artistica dell’interessato, appare fin troppo discussa. Rispetto ad altri casi, sono quisquilie e pinzillacchere, come avrebbe detto Totò, un altro che con la censura prima fascista e poi democristiana ebbe i suoi guai. Prendete i grandi operisti dell’Ottocento che magari, volendo, sono anche un po’ più importanti del primo rapper che passa. Nel 1811, a Bologna, dopo tre recite fu vietato ‘L’equivoco stravagante’ di un diciannovenne Rossini, tanti e tali erano i doppi sensi osceni del libretto, dove per far rinunciare un pretendente alla mano di una fanciulla gli si fa credere che costei sia un castrato, e viva la finezza.
Non bastasse, pochi giorni dopo il ‘Gioacigno’, che in quella stagione bolognese lavorava al teatro del Corso, fu arrestato e passò una notte in cella perché, come da verbale della napoleonica Prefettura del Reno, "nella prova generale dell’opera seria, il Sig.r Gioacchino Rossini maestro al cembalo si è fatto lecito di minacciare di bastone quei coristi che non servissero ai suoi voleri" (l’opera seria, per inciso, era ‘Il trionfo di Quinto Fabio’ del nonno di Puccini, Domenico). Rossini avrà avuto sicuramente ragione a perdere la pazienza, ma nemmeno il più efferato dei rapper randella i suoi coristi, ammesso che li abbia. Quanto a Donizetti, se non avete mai sentito parlare di sue opere come ‘Alfonso, duca di Ferrara’, ‘Dalinda’, ‘Elisa da Fosco’, ‘Eustorgia da Romano’, ‘Giovanna I di Napoli’, ‘Nizza de Grenade’, non preoccupatevi: sono altrettante versioni censurate di ‘Lucrezia Borgia’ (1833), soggetto scabrosissimo perché la protagonista a) avvelena gente a destra e a manca; b) si invaghisce di suo figlio; c) è a sua volta figlia di un Papa (anche se su questo il libretto ovviamente soprassiede). Il soggetto è tratto da Victor Hugo, autore che rendeva idrofobi i censori italiani; ironia della sorte, quando l’opera fu rappresentata a Parigi si arrabbiò invece proprio Hugo, così l’opera ebbe l’ennesima metamorfosi e diventò ‘La rinnegata’.
Quanto a ‘Maria Stuarda’, a Napoli nel 1834 non andò nemmeno in scena, perché per le autorità borboniche era inaccettabile che la Stuarda affrontasse Elisabetta d’Inghilterra (la prima, per carità) dandole della "meretrice indegna oscena". Il libretto fu riscritto in fretta e furia, protestanti e cattolici diventarono guelfi e ghibellini, l’Inghilterra del XVI secolo la Firenze del XIII, ed ecco un innocuo ‘Buondelmonte’. Intanto Bellini si censurava da solo, e dovendo dare a Napoli ‘I puritani’ scritti per Parigi eliminò il famoso duetto patriottico dei bassi perché "è di un liberale che fa paura".
Poi naturalmente c’è Verdi che, a differenza di quel che si pensa, veniva censurato non tanto per ragioni politiche, quanto sociali ed estetiche. Il soggetto del ‘Rigoletto’ (sempre Hugo) venne giudicato dall’autorità austriaca di Venezia "di ributtante immoralità e oscena trivialità": oggi sarebbe vietato ai minori. Le metamorfosi del ‘Ballo in maschera’, che mette in scena un regicidio, quello di Gustavo III, Re di Svezia, sono tristemente note. Alla fine, l’opera non fu rappresentata al San Carlo per cui era stata scritta ma all’Apollo di Roma, dove evidentemente i censori papalini erano meno intransigenti di quelli borbonici: Stoccolma diventò però Boston e il Re un semplice conte (quindi le comari che inveiscono contro ogni regista che cambia l’ambientazione "voluta da Verdi" sappiano che in questo caso non è Verdi ad aver scoperto l’America, ma monsignor Antonio Matteucci). In compenso, a Roma ‘La traviata’ fu intitolata ‘Violetta’, meno compromettente, e la trama cambiata per fare della protagonista una fanciulla "pura e innocente". Quando lo seppe, Verdi esplose: "Tante grazie! Così han guastato tutte le posizioni, tutti i caratteri. Una p… deve esser sempre p…". Sai che rap, quando Verdi si arrabbiava.