"S’è arrabbiata eccome" Elly Schlein leggendo ieri l’intervista in cui il Stefano Bonaccini avvertiva che "un Pd piccolo e radicale non serve". Per quanto la fuoriuscita del gruppo ligure alla volta di Azione non sia destinata a provocare sommovimenti rilevanti tra i dem, il modo allarmato un cui è stata recepita dalle minoranze e respinta dalla segretaria rimane la spia di "quel che il Pd è oggi", come spiegano i funzionari dalla festa nazionale di Ravenna.
E il Pd oggi come oggi è un partito con al vertice una "leader per caso", non si nasconde chi l’ha autorevolmente sostenuta. Che, se non altro per l’altissima "permalosità dabbene" e le "pretese di autosufficienza", comincia a lasciare interdetti gli stessi maggiorenti che l’hanno fortemente voluta. E che in più ha messo in sella un gruppo dirigente che "considera una bad company" quella cospicua componente moderata che ha in curriculum il Jobs act e le politiche dell’ultimo decennio. Una componente che dopo il congresso è minoranza, ma che riempie ugualmente le amministrazioni locali e le altre caselle della burocrazia pubblica e privata (cooperative, imprese, finanza...) afferente più o meno direttamente al partito. "Questo è lo stato dell’arte" fino alle Europee e soprattutto le Regionali 2025.
Tutto il resto è cronaca. A partire dallo scroscio di applausi e cori che ha accolto Giuseppe Conte alla Festa dell’Unità di Ravenna. Forse claque, forse segnale dei fedelissimi della segretaria rispetto all’interlocutore Bonaccini. Che però in Emilia-Romagna ha casa e base. E che, informato dell’ira della segretaria, rincara subito: "Se vogliamo diventare alternativa del Paese, dobbiamo irrobustirci ben oltre il 20%". E per farlo "dobbiamo saper parlare direttamente agli italiani". Di rincalzo, il leader 5 Stelle punta direttamente all’orizzonte delle politiche, senza passare per le Europee proporzionali: "Il tema è lavorare per costruire un progetto di governo del Paese". Nessuna "alleanza posticcia" o cartelli, insomma, ma "confronto chiaro e rispettoso". Chi vivrà vedrà.
La segretaria, per parte sua, non aveva preso per niente bene le parole rilasciate dal governare a mezzo stampa: "Un Pd piccolo e radicale non serve", aveva avvertito Bonaccini. Ragion per cui "è essenziale che il Pd recuperi rapidamente la propria vocazione maggioritaria", secondo il governatore. Convinto che "Elly sia la prima a doversi e volersi fare carico di questo". Lei invece si è alquanto irritata per l’uscita del presidente del partito, con cui reputa di mantenere un rapporto di reciproco sostegno. Anche perché la segretaria ha già dato il via libera alla candidatura di Bonaccini come capolista nel collegio Nordest per le prossime Europee. "Pensavamo di aver misurato i toni", chiosano dall’entourage di Bonaccini considerata la levata di scudi dei suoi. La fuoriuscita dei liguri ha infatti suscitato un profluvio di reazioni da parte degli esponenti di Energie popolari, la neonata area guidata formalmente dal governatore e più praticamente dagli ex di Base riformista, che ne hanno fortemente voluto la costituzione (a ottobre la possibile nuova convention a Roma).
Addirittura, anzi, c’è chi si sente minacciato di epurazione per le parole pronunciate dalla segretaria: "Se noi ci rendiamo conto – dice Schlein – che qualcuno possa non sentirsi a casa in un Pd che si batte per il salario minimo, per la scuola, per l’ambiente, per i diritti, per il lavoro di qualità, allora forse l’indirizzo era sbagliato prima". Ed è esattamente a questo che si riferisce chi avverte la preoccupazione che tutto il passato sia "una bad company" da rottamare. Che poi è il film già visto ad opera del rottamatore precedente.
Cosimo Rossi