Domenica 2 Febbraio 2025
SIMONE ARMINIO
Politica

I trent’anni dell’Ulivo. “Il primo test in Veneto, poi scoprimmo Prodi”

Rosy Bindi ricorda la nascita della coalizione dalla fusione tra Ppi e Pds. “Così concreto e aperto al dialogo, il prof era l’antitesi di Berlusconi. Il futuro? Non può essere che uniti”

Rosy Bindi, 73 anni, fu deputata col Ppi e partecipò alla fondazione di Ulivo e Pd

Rosy Bindi, 73 anni, fu deputata col Ppi e partecipò alla fondazione di Ulivo e Pd

Roma, 2 febbraio 2025 – Trent’anni fa, il 2 febbraio 1995, con un’intervista Romano Prodi si propose agli italiani come alternativa a Berlusconi. Cinquantasei anni all’epoca, ottavo di nove fratelli, un reggiano trapiantato a Bologna per insegnare Economia politica all’università, il professore era già stato ministro dell’Industria (Andreotti IV, 1978) e presidente dell’Iri dal 1982 al 1989 e dal 1993 al 1994. Alla sua guida, dopo la batosta dei Progressisti, i partiti del centrosinistra ritrovarono la vittoria alle Politiche del 1996. Si unirono: Pds, Ppi, Socialisti Italiani, Patto Segni, Alleanza Democratica, Verdi, La Rete; Pri, Federazione dei Liberali, Federazione Laburista; Movimento dei Comunisti Unitari e Cristiano Sociali. Serviva un nome. Fu scelto ’L’Ulivo’. Venne affittato un pullman e l’avventura partì. Rosy Bindi prese parte a quell’avventura.

"L’Ulivo? La prima volta lo testammo in Veneto”. Era il 9 aprile 1995: elezioni suppletive di Padova-Selvazzano Dentro. Rosy Bindi lo ricorda bene perché è casa sua. Segretaria del Ppi veneto, era arrivata alla Camera da poco.  

Cos’altro ricorda?

“Che vincemmo tutti insieme e capimmo che si poteva fare”.  

Nome del candidato?

“Giovanni Saonara, professore di area cattolica. Si presentò con Ppi, Pds, Verdi, socialisti, laburisti, Cristiano sociali. Fu la prima apparizione dell’Ulivo, ancorché senza simbolo. Il posto vacante era quello di Emma Bonino, indicata da Silvio Berlusconi alla Commissione Ue. Vincemmo e da allora la coalizione divenne imprescindibile. Anche se, politicamente, il punto di non ritorno c’era già stato”.  

Si spieghi meglio.

“La fine della Dc e la nascita di un Partito Popolare, nel gennaio 1994, fu concepita da molti di noi come l’avvio di un dialogo con le forze progressiste iniziato già negli anni Settanta da Moro e Berlinguer e poi naufragato”.  

Nel 1994 però andaste da soli. Il dialogo si troncò sul nascere?

“I tempi non erano maturi. Facemmo una scelta centrista, e perdemmo. Subito dopo, con l’era Buttiglione, fu chiaro a tutti che bisognava scegliere: di là, con la destra, o di qua, con i progressisti”.  

Voi sceglieste il di qua.

“Ricordo come fosse oggi una riunione nella saletta del Ppi alla Camera”.  

Ricorda anche chi c’era?

“Beniamino Andreatta, Sergio Mattarella, Gerardo Bianco, Rosa Russo Iervolino, la sottoscritta”.  

Ordine del giorno?

“Scissione del Ppi e avvio di un ambizioso progetto di coalizione con i progressisti, di cui noi rappresentavamo l’anima cattolica. Il nostro apporto, nel successivo Pd, si tende a dimenticare”.  

In che senso?

“Ancora oggi si parla del Pd come naturale evoluzione della storia comunista e socialista. Lo si fa risalire idealmente alla scissione del 1921. Ma dico: e noi cattolici? La vera saldatura fu tra gli eredi della sinistra Dc e dei riformisti del Pci”.  

Torniamo a Saonara. Fu eletto. Dove andò a sedersi?

“Tra le file del Ppi, perché veniva da lì. Ma nel frattempo entrambi i gruppi parlamentari, Ppi e Pds, avevano cambiato nome aggiungendo la dicitura ’per l’Ulivo’”.  

Il dado era tratto. Mancava solo un federatore, sembra un deja-vu. Chi pensò a Prodi?

“Indubbiamente Andreatta, di cui era stato allievo. Ma quello di Prodi era un nome che molti di noi invocammo nelle prime riunioni. Un uomo della tradizione della sinistra cattolica che però non aveva avuto mai tessere. Era perfetto”.  

Era anche sconosciuto ai più. Non vi sembrò un problema? Dall’altro lato c’era Berlusconi, l’uomo più amato dagli italiani.

“Non era così sconosciuto, ma non è questo il vero punto”.  

E allora qual è?

“Prodi era la perfetta antitesi di Berlusconi. Una persona normale. Un uomo competente e di grande esperienza, che però viveva in una casa normale, andava per strada a Bologna e se gli citofonavi ti apriva e metteva su il caffè...”.  

Uno che vale uno.

“Eh, no. Le differenze sono abissali. Il populismo lì non c’entrava nulla. Semmai era il quisque de populo di tradizione degasperiana. Uno di noi che però non aveva alcuna pretesa di sostituirsi ai cittadini o di intestarsene la sovranità. Ciò che ispirava era il contrario: sono come voi e mi rendo disponibile a farvi da portavoce, per il bene collettivo”.  

Questa è la teoria. E la pratica?

“La pratica si sostanziava da una spiccata propensione all’ascolto e al dialogo unita a una competenza specifica nel saper fare sintesi ed essere in grado di elaborare un progetto politico chiaro e di lungo respiro. Un’alternativa concreta e credibile al berlusconismo degli annunci faraonici e irrealizzabili”.  

Oggi sarebbe ancora possibile? “Io non credo che sia impossibile. Credo che un nuovo Prodi sul quale siamo tutti d’accordo sicuramente esiste. Il punto è che non lo abbiamo ancora trovato”.  

Come fare?

“Intanto dovremmo deciderci una volta per tutte ad abbandonare le tattiche e i calcoli cinici. La destra vince proponendo soluzioni semplici che però non portano da nessuna parte, se non alla stagnazione e all’immobilismo. Ma i problemi sono complessi! Le soluzioni non possono essere semplici. La risposta sta nel dire che occorrono scelte difficili ma che, se ci crediamo e se siamo uniti possiamo riuscire”.  

Franceschini e Conte stanno dicendo il contrario: andiamo divisi, poi ci uniamo dopo il voto.

“Io credo che a due anni e mezzo dal voto il modo migliore per azzerare ogni possibile alternativa alla destra sia dire: andiamo divisi. E per far cosa, poi? È come dire: cari elettori non ci siamo messi d’accordo ma vi promettiamo che litigheremo meglio dopo il voto... Qualcuno ci crede? Siamo seri”.  

Resta intatta la domanda: come si fa?

"Due anni e mezzo sono un tempo sufficiente per ripartire dal territorio, fare riunioni, esperimenti locali come in Umbria e Sardegna, poi confrontarsi sui grandi temi. L’immigrazione, la Costituzione, la politica estera, la sanità, il lavoro”.  

E se, fatto tutto, un federatore non emerge?

“Un nome, che sia dentro o fuori al Pd, lungo questo percorso arriverà in modo naturale. Ma se non arrivasse ci sono molti strumenti a disposizione. Dalle primarie, alla regola del partito più grande, fino a una figura esterna ai partiti e alla politica. L’importante è partire. Possibilmente uniti”.