Canè
Nel ‘66 arrivò anche Ted Kennedy. Ci mise poco a sporcare il suo impermeabile color panna, tra le migliaia di volumi imbrattati nella melma della Biblioteca Nazionale di Firenze. Forse assieme a Bersani, Joan Baez e tanti altri ragazzi, migliaia, che sarebbero comunque diventati famosi: gli angeli del fango. Come quelli di oggi, nell’anniversario della grande alluvione, che puliscono, scavano nella Toscana martoriata da Ciaran. Com’è successo nel maggio scorso in Romagna. Come capita ogni volta che la natura vince sull’uomo, distratto o assente, cosa che in Italia capita spesso, persino in centro a Milano.
Le stesse facce sporche, gli stessi stivali, gli stessi secchi. Anche gli stessi sorrisi da regalare a chi ha perso casa o lavoro.
Questione di Dna di un Paese tanto assente o carente prima, nella prevenzione (lo ha ricordato ieri anche Gentiloni), quanto presente dopo, nel soccorso. Un modello che in Toscana, dove tutto è antico, nasce nel 1244 con la prima confraternita, e che trova non a caso proprio a Firenze sulle rive alluvionate dell’Arno, la sua consacrazione, e la sua definizione. Non la sua espressione esclusiva: il marchio è nazionale. Una protezione civile senza divisa che a Cesena come a Prato, in Veneto o sulle coste, si toglie la la giacca e indossa la tuta più sdrucita da buttare poi in lavatrice, o da buttare proprio, mangiata dal fango. Forse non saranno angeli, quelli di allora come i volontari di oggi. Di sicuro, però, è gente (siamo gente) a cui non c’è bisogno di chiedere per prendere una pala e andare ad aiutare. Anzi. Sappiamo bene come spesso le autorità debbano fare appello a non mobilitarsi perché è impossibile organizzare il lavoro di tutti. A questa Italia bisogna dire grazie, ancora una volta. E prendere un impegno. Di costruire un territorio in cui non servono angeli, perché messo in grado di resistere ai "demoni" vecchi e nuovi della natura.