Sabato 19 Ottobre 2024
BRUNO
Politica

Governo promosso. Una Finanziaria per tanti. Va nel segno della crescita

L’abbassamento dello spread è un ottimo segnale: pagheremo meno interessi. Le critiche per i fondi alla Sanità? La spesa pro capite è in aumento.

Governo promosso. Una Finanziaria per tanti. Va nel segno della crescita

Operatori del pronto soccorso in azione. Le assunzioni nella sanità saranno concentrate sul 2026, quando ci saranno più risorse

Vespa

Palermo chiama Roma. Giulia Bongiorno chiede di assolvere con formula piena Matteo Salvini dall’accusa di aver sequestrato i 147 migranti di Open Arms (sei anni di reclusione) e Roma il tribunale speciale per l’immigrazione non conferma il trattenimento in Albania delle poche persone trasferite da una nave militare italiana. È l’ennesima puntata della partita Stato vs Giudici, che vede il primo regolarmente perdente. S’intenda: in un Paese democratico lo Stato non può sconfinare nell’arbitrio repressivo, ma la magistratura non può sostituirsi né al potere legislativo né a quello esecutivo, cioè al governo. Cosa che nel campo dell’immigrazione avviene regolarmente. Lo Stato oggi stesso porterà a Bari i 14 migranti ‘albanesi’ obbedendo al provvedimento romano (così prevede la Convenzione con l’Albania), ma il ministro Piantedosi ha annunciato ricorsi fino alla Cassazione. Il provvedimento nasce da un’ambigua decisione della Corte di giustizia europea secondo cui non può essere il ministero dell’Interno o quello degli Esteri di un Paese a stabilire se un altro Paese è sicuro, ma bisogna rimettersi alla valutazione del giudice nazionale. Cosa che rende impraticabile qualunque politica migratoria, in una nazione come l’Italia in cui il pubblico ministero non risponde – di dritto o di rovescio – al governo. Tanto è vero che il giudice romano ieri ha deciso senza nemmeno motivare come richiesto invece dalla Corte europea.

E infatti la decisione di ieri ha consentito all’opposizione di chiedere l’immediato smantellamento degli impianti albanesi. Tutto questo avviene mentre per la prima volta un presidente del Consiglio italiano riunisce a Bruxelles undici colleghi europei sulla politica migratoria. E dove il problema è ormai così sentito che il modello albanese è visto con favore da quasi tutti, il polacco Tusk teme che le Germania gli rispedisca indietro una valanga di bielorussi, mentre Olanda e Danimarca vorrebbero spedire gli irregolari in Uganda o in Kosovo e non nella comoda e vicina Albania.

E andiamo all’altro elemento di polemica, la manovra economica. Mettiamola così. Questa manovra è la migliore da anni perché dà a tanti e non toglie praticamente a nessuno (nemmeno alle banche che aspetteranno un paio d’anni per riprendersi i soldi col credito d’imposta). Nel 2016, con uno sforzo enorme visti i conti dello Stato, Romano Prodi tolse cinque punti dal cuneo fiscale, ma una parte fu per le imprese. Cosa che fece infuriare il loro presidente Luca di Montezemolo con grande amarezza del Professore. Basterebbero i sette punti di riduzione solo a beneficio dei lavoratori resi strutturali (cioè per sempre, cosa mai fatta) per qualificare una manovra. Si aggiungano i benefici per le famiglie a reddito mediobasso, l’estensione dell’esonero contributivo totale alla madri lavoratrici autonome, l’estensione a tre mesi del congedo parentale con paga all’80 per cento (invece di due mesi al 60 per cento), il bonus bebé di 1000 euro che fa pensare a un’iniziativa storica di uno dei Paesi chiave del welfare, la Finlandia, in cui da decenni ai neonati arriva un pacco dono del governo con tutti i beni di prima necessità. L’incoraggiamento perdurante alla ristrutturazione di prime e seconde case (bonus del 50 e del 36 per cento) serve a non spegnere la ripresa dell’edilizia.

Mentre si aspetta il saldo del concordato fiscale per vedere se è possibile far scendere dal 35 al 33 per cento la seconda aliquota fiscale, estendendola eventualmente a chi guadagna 60mila euro lordi all’anno. Viene sottovalutata la caduta dello spread, al livello più basso da molti anni: significa minori interessi da pagare, più soldi disponibili.

Le critiche ai 6.4 miliardi in due anni di maggior dotazione alla sanità contrastano con due tabelle mostrate giovedì a ‘Porta a porta’, dopo che Antonio Misiani, responsabile economico del Pd, aveva ipotizzato una decrescita del rapporto col Pil fino al record negativo del 6.05 per cento nel 2025-26. Una tabella di Palazzo Chigi mostra un record positivo della spesa sanitaria pro capite di 2.313 euro per l’anno prossimo e di 2.383 per il 2026. Una tabella del ministero dell’Economia, con dati depurati dell’inflazione, mostra un aumento per quest’anno del 2,5, dell’1.2 per l’anno prossimo e dello 0.7 per il 2026. Poca roba, ma in crescita, non in diminuzione. Si aggiungano i record storici di maggiore occupazione e di minore disoccupazione, a fronte di un aumento della povertà. Questo elemento negativo, insieme con un aumento generalizzato delle retribuzioni, potrà essere risolto solo con l’aumento di produttività: parola dura, che significa giustizia migliore, cittadini più onesti col fisco, minore burocrazia. Ma per questo non basta una legislatura.