Roma, 30 dicembre 2018 - Matteo Salvini nega: "Rimpasti? Ipotesi surreali, squadra che vince non si cambia". Ma le parole del premier Conte durante la conferenza stampa di fine anno, hanno reso probabile, più che possibile, un evento di cui si parla da tempo: il ministro del Tesoro, Giovanni Tria, è pronto a lasciare. E le sue dimissioni daranno il via ad un effetto domino che metterà a dura prova gli equilibri dell’esecutivo. Fino – forse – a farlo vacillare prima delle elezioni europee di maggio.
Per il titolare del dicastero di via XX settembre, piegato da mesi di attacchi e litigi, sarebbero state decisive le dimissioni del capo di gabinetto Roberto Garofoli e un recente sms inviato a Renato Brunetta ("Non ce la faccio più", questo il testo) ha reso chiaro lo stato d’animo. Dal governo, già nei giorni scorsi, hanno fatto sapere che si tratterebbe, appunto, di una scelta volontaria del ministro, disposto a lasciare – secondo fonti grilline – addirittura ai primi di gennaio.
Peccato, però, che questo ragionamento (una speranza vera per i 5 stelle) s’infranga contro la volontà granitica di Salvini di mantenere il più possibile Tria nel posto dove sta. Tutto, infatti, ruota intorno alla scrittura della norma sul Reddito di cittadinanza, su cui la Lega non vuole avere alcun tipo di responsabilità diretta "perché il nostro popolo non ce lo perdonerebbe mai". Dunque, meglio evitare che con l’uscita di scena anticipata di Tria, il Carroccio venga chiamato, nel gioco del rimpasto, a dover esprimere un nome per quel dicastero, se non Giancarlo Giorgetti (che non ne vuol sapere), almeno Claudio Borghi Aquilini, il potente presidente della commissione Bilancio della Camera, quello capace di spegnere il microfono proprio a Tria durante un’audizione sulla manovra, per impedirgli di dire qualche parola di troppo.
Salvini, però, di questa eventualità non vuole neppur sentir parlare; nessun ‘sacrificio’ della Lega per la scrivania di Quintino Sella ora che su quel tavolo dovrà passare il Reddito di cittadinanza. Se proprio si dovrà sostenere un rimpasto, meglio puntare alle Infrastrutture, dove Danilo Toninelli, in bilico da mesi, potrebbe essere sostituito proprio da Giorgetti.
Ma non c'è solo Tria. Anche il ministro per gli Affari Europei, Paolo Savona, ha manifestato da tempo insofferenza verso le dinamiche di governo e con lui il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, un ruolo chiave nell’esecutivo, al pari di quello di Tria, su cui, per altro, l’ultima parola spetterebbe comunque al Quirinale. Questione che preoccupa i grillini, ora che anche la ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, avrebbe raffreddato da tempo i suoi rapporti con il suo principale sponsor, Luigi Di Maio, prendendo le distanze dal governo.
Alla fine, l’unico pronto a lasciare senza strascichi negli equilibri interni potrebbe essere il ministro per la famiglia, il leghista Lorenzo Fontana, orientato alla guida dei Populisti d’Europa e alla delegazione del Carroccio a Bruxelles. Per quel posto, i 5 Stelle avrebbero in rampa di lancio Vincenzo Spadafora, ora alle Pari Opportunità, dove potrebbe arrivare, invece, Giulia Grillo dal ministero della Salute. Ma pare che lei non ne voglia proprio sapere di un simile declassamento e punta i piedi.