Quanto può reggere Giorgia Meloni di fronte allo stillicidio berlusconiano, tenuto conto che per ora Matteo Salvini è rimasto più o meno silente? Fin qui la leader di Fratelli d’Italia e possibile presidente del Consiglio è stata abile nel gestire gli ingombranti alleati della maggioranza, evidentemente incapaci di accettare la leadership di Meloni. Non c’entra il fatto che è donna, come osserva qualcuno, ma che voglia comandare oltre che governare.
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Inconcepibile e inaudito, per loro, abituati a ruoli di potere, sopratutto Berlusconi, demiurgo del centrodestra e di Forza Italia. Le sortite di Berlusconi – dagli appunti a favore di telecamera con gli insulti a Meloni alla photo opportunity in via della Scrofa, fino ad arrivare alle parole tutt’altro che dal sen fuggite sulla guerra in Ucraina scatenata dalla Russia – non devono stupire.
L’amicizia tra Berlusconi e Vladimir Putin non è un mistero, così come non sono un mistero le posizioni filo-putiniane dei vertici della Lega. Al massimo, per timore di reazioni pubbliche, cercano di mantenere un basso profilo in un Paese che ha la memoria storica di un paio d’ore, dimostrando pure una certa pavidità. Sicché, servono gli audio di Berlusconi per ribadire l’ovvio, e cioè che il centrodestra che Meloni vorrebbe atlantista ed europeo, ha non pochi fardelli e scorie che lo agganciano pericolosamente alla Russia putiniana.
Non possono bastare le note di circostanza di Berlusconi. Non sono sufficienti per Meloni, che tiene il punto e dice di non essere disponibile a fare il governo a ogni costo. Alcune scelte sono inevitabili. Come può ambire adesso Forza Italia ad avere il ministro degli Esteri? A chi risponderebbe l’Antonio Tajani di turno? A Palazzo Chigi o al Cremlino? La prima insidia insomma arriva da Forza Italia e dall’ex capo del centrodestra. Poi c’è Salvini, altro agit-prop del possibile governo Meloni.
A differenza di Berlusconi, che è il capo e creatore di Forza Italia, dunque intoccabile, il segretario della Lega guida sì l’ultimo partito leninista rimasto in Italia, ma deve rispondere al consiglio federale e agli accigliati governatori del Nord, da Massimiliano Fedriga a Luca Zaia. Anche la Lega ha posizioni ambigue sulla Russia, come testimonia – fra gli altri – il neo-presidente della Camera Lorenzo Fontana. Salvini ha chiesto, per ora non ottenendolo, il ministero dell’Interno.
Il segretario leghista cerca nuovamente i fasti della stagione 2018-2019 quando con il binomio lotta immigrazione & sicurezza arrivò al 17 per cento (Politiche 2018) e 34 per cento (Europee 2019), ma l’aria è molto cambiata. Così cambiata che c’è chi vorrebbe tornare alla Lega etnoregionalista di un tempo. E persino Salvini, che non ha mai fatto dell’autonomia un valore non negoziabile, a differenza di certi suoi compagni di partito, è costretto a rassicurare il grande Nord spiegando che adesso certe scelte potranno essere compiute. Non l’allarme fascismo, ma Berlusconi e Salvini sono gli avversari più insidiosi del possibile governo Meloni.