Roma, 3 febbraio 2021 - Mario Draghi ha accettato l'incarico di formare il nuovo governo ma i problemi che lo aspettano si stanno già accumulando davanti all'uscio di Palazzo Chigi. Il primo, il più stringente: Draghi ha i numeri per avere una maggioranza stabile in Parlamento? E, se ce li ha, come si comporrà l'asse della nuova maggioranza di governo?
Per rispondere bisogna guardare soprattutto in casa M5S, dove sono già molti gli esponenti grillini che si sono pronunciati contro l'ex presidente della Bce. L'ala che fa riferimento ad Alessandro Di Battista ha già deciso di opporsi al governo voluto dal presidente Mattarella, ma ora appare sempre più chiaro che è l’intero Movimento – che, su tale decisione, potrebbe spaccarsi come una mela – che vuole mettersi all’opposizione di Draghi in Parlamento.
C'è poi un altro drappello di pentastellati che aveva già dichiarato voto contrario a qualunque esecutivo non fosse guidato da Conte (ma varrà anche se Conte dovesse dichiarare il suo appoggio a Draghi? Bisognerà vedere…). Poi c'è il corpaccione dei peones, che in buona parte si adeguerà a quanto stabilito ufficialmente, perché in ballo - prima ancora che le idee su Draghi - c'è la ricandidatura (e le eventuali deroghe al terzo mandato da ottenere nel M5s). È certa una spaccatura, sia che la linea ufficiale dica sì sia a Draghi sia che si schieri sul no. Ma la scelta, ovviamente, non è ininfluente. In questo momento, però, è evidente che in ogni caso il M5S porterà in dote al nuovo governo un numero di voti inferiore a quello che garantiva a Conte. Un numero di voti ‘minimo’ che potrebbe abbattersi a poche decine di sì, tra Camera e Senato, se anche Luigi Di Maio e la sua ala moderata si riscoprissero improvvisamente meno 'merkeliani' ed europeisti di quanto hanno detto di essere. Va ricordati che l’M5s è il partito più grande presente, oggi, in Parlamento: conta, infatti, 191 deputati e 92 senatori, nonostante i molteplici abbandoni subiti in questi tre anni. Una possibile scissione dentro i 5Stelle tra pro-Draghi e anti-Draghi, però, sarebbe utile al presidente del Consiglio incaricato solo se fosse molto consistente, cioè di almeno 40 deputati e 50 senatori. Una scissione, dunque, corposa che, al momento, non è possibile prevedere che avvenga.
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Ipotesi spaccatura M5s e posizioni dei partiti
Un problema ben chiaro anche dentro il Pd che conta, invece, molto poco nell’attuale Parlamento: 93 deputati e appena 35 senatori. Il vicesegretario Andrea Orlando ha spiegato in mattinata che i dem vogliono capire di quali numeri dispone il governo Draghi prima di formalizzare la certezza del loro appoggio. Il senso è: non ci si può imbarcare in un'impresa che, nonostante Draghi, non ha le basi parlamentari per svolgere la sua missione... Non solo.
Il problema del Pd è anche un altro. Il timore – fondato, in questo caso – è che i voti necessari per far partire il governo Draghi arriveranno dalla Lega che conta 131 deputati e 63 senatori e che, di fatto, farà da ‘ago della bilancia’. Infatti, i voti di Forza Italia (91deputati e 52 senatori), da soli, rischiano di non bastare. In caso di massiccia diserzione del M5s, decisivi sarebbero i consensi in aula del Carroccio, ma cambia molto se arriveranno sotto la forma di appoggio diretto o, magari, di astensione. Matteo Salvini, per ora, si mostra possibilista: “Vedremo cosa Draghi ha da proporre”. Sicura, invece, l’opposizione della nutrita pattuglia di FdI, capeggiata dalla Meloni (conta 19 senatori e 33 deputati).
Ma una Lega che si intesta la quota decisiva di azionariato sarebbe - oltre che un problema per il Pd - anche un condizionamento pesante sull'agenda di governo e sui suoi tempi e temi di azione. È infatti probabile che la Lega vincoli il suo eventuale appoggio a una data certa sul voto: settembre oppure ottobre, dato che – come ha detto in modo esplicito, ieri sera, il Capo dello Stato, le elezioni a giugno sono escluse per tutta una serie di – importanti - motivi.
Questo 'peso pesante' della Lega sul nuovo governo ridurrebbe il programma di Draghi alla messa in sicurezza del Recovery Plan e alle scontate misure anti-pandemiche, chiudendo qualsiasi possibilità di altre riforme strutturali, comprese quelle istituzionali e forse la stessa legge elettorale. In più, un 'calendario' corto non consentirebbe all'attuale Parlamento di arrivare fino all'elezione del nuovo presidente della Repubblica, prevista dal 3 febbraio 2022.
Naturalmente, appoggeranno il governo Draghi sia Iv - che conta su 28 deputati e 18 senatori – cioè il gruppo di Renzi sia molti sottogruppi dei due gruppi del Misto. Qui si va dai Responsabili-Europeisti-Psi di Tabacci, Nencini e Merlo, 10 senatori e 17 deputati, ad Azione-Radicali +Europa di Bonino e Calenda, 3 senatori e 4 deputati, al gruppo Autonomie del Senato, 8 senatori, ai tre ‘piccoli’ del centrodestra (i 3 senatori di ‘Toti-Cambiamo’, i 3 senatori dell’Udc e gli 11 deputati di ‘Noi con l’Italia’ di Lupi) ai 6 senatori a vita e altri del Misto.
Ma anche se il governo Draghi non avesse iscritto, all’atto della nascita, una data di scadenza certa, è difficile che un governo basato su una maggioranza che va da Leu (che si sta spaccando al suo interno, sulla decisione, e che conta 12 deputati e 7 senatori, ma che guida il gruppo Misto) fino alla Lega, passando per Pd, Forza Italia, parte di M5s abbia la forza e la coesione per uscire da pochi binari prefissati. Sempre ammesso e non concesso che i voti leghisti ci siano.
La possibile maggioranza pro-Draghi
In buona sostanza, volendo far di conto, al momento i numeri sono questi. Alla Camera dei Deputati un governo Draghi conta, già da ora, sui 93 deputati del Pd, i 91 di Forza Italia, i 28 di Iv, quasi tutti i 50 deputati del Misto. Fa, in totale, 262 deputati. Contro si sono già schierati Fratelli d’Italia (33 deputati), M5s (191) e parte di LeU (12) per un totale di 236 deputati. La maggioranza assoluta è fissata a quota 315 (il plenum non è di 630, ma di 629, perché manca la rielezione di un deputato), quindi la scelta della Lega (131 deputati che, se sommati ai ‘pro Draghi’, fa una maggioranza di 393 deputati) sarà decisiva: senza i suoi voti, il governo Draghi sarebbe un ‘governo di minoranza’.
Non vanno meglio le cose al Senato. Per il governo Draghi ci sono i 52 senatori di FI, i 35 del Pd, i 18 di Iv, gli otto senatori delle Autonomie, tra i 3 e i 6 senatori a vita e, nel gruppo Misto (in teoria 22 senatori), solo 12 sono i ‘sicuri’. Contro ci sono i 19 senatori di FdI, i 7 di Leu, al momento, i 92 del M5s e 3 del Misto (il sottogruppo di Paragone). Quindi, sono 131 senatori ‘sicuri’ pro-Draghi che possono arrivare a 138-141 se LeU e una consistente pattuglia del Misto lo vota. Mancano, dunque, almeno venti voti buoni. Contro, le opposizioni a un governo Draghi, contano oggi su 19 senatori di FdI, 92 del M5s, 3 del Misto (totale 121). Anche in questo caso, i 63 senatori della Lega sono cruciali: possono portare la maggioranza pro-Draghi a 200 senatori e rotti, ma possono anche far salire le opposizioni a 184 voti. Naturalmente, una scissione dentro i gruppi dei 5Stelle, alla Camera come al Senato, può cambiare le carte in tavola…
Decisiva sarà, in termini di consenso, la squadra
Mattarella, nel suo discorso, ha specificato che il governo del Presidente, nato dal fallimento “dell’unica e ultima maggioranza possibile nell’ambito di questa legislatura”, prescinderà dalle singole forze politiche e quindi dalle aree politiche. Non avrà colore, né di destra né di sinistra. Un classico governo tecnico affidato a Draghi, un signore che in teoria a febbraio 2022 può ambire anche al Quirinale, ma che quindi avrà bisogno di un alto gradimento per ottenere i voti del Parlamento, sia per fare il governo che dopo. Può darsi, invece, che il governo Draghi faccia così bene da rinunciare al Colle e andare avanti per tutta la legislatura. Ma vediamo i nomi della sua possibile ‘squadra’ di governo – nomi che cambiano molto se Draghi formerà un governo di stampo e taglio ‘tecnico’ o, invece, molto più ‘politico’. Ecco perché dividiamo lo schema in due, diverse, colonne che rispondono a due diversi e differenti schemi di squadra.
La squadra/1: 'governo politico'
Recovery Fund: Carlo Cottarelli
Interni: Giancarlo Giorgetti
Esteri: Emma Bonino
Mef: Irene Tinagli o Guido Crosetto
Mise: Marco Bentivogli
Lavoro e previdenza: Tito Boeri
Infrastrutture: Stefano Patuanelli
Giustizia: Paola Severino
Ambiente: Enrico Giovannini
Salute: Mara Carfagna
Istruzione: Patrizio Bianchi
Università: Antonella Polimeni
In questo schema sono ancora assenti i vicepremier (sarebbero due ed entrambi politici) ed è chiaro, qui, il tentativo di dialogare con tutte le forze parlamentari a cui sarebbe data l’opportunità di un riscatto dopo le figuracce rimediate nel corso di questa legislatura. Giorgetti al Viminale potrebbe essere l’occasione per la Lega per dimostrare di non essere né forcaiola né razzista. Crosetto al Mef l’occasione per dimostrare che non è vero che Fratelli d’Italia pensa che l’Europa sia “un club di strozzini”, ma solo un club necessario che pure talvolta ha sbagliato. Entrambi, Lega e Fdi, hanno bisogno di tempo e di opportunità per dimostrare che non sono nazionalisti, sovranisti, anti-Europei. Sarebbe, finalmente, il governo dei migliori di cui ha parlato anche Silvio Berlusconi. Marco Bentivogli al Mise, seduto dall’altra parte del tavolo dopo anni passati, come sindacalista, da questa parte. Paola Severino per completare la riforma della giustizia. L’ex Presidente dell’Istat, Enrico Giovannini all’Ambiente, Emma Bonino alla Farnesina.
La squadra/2 – ‘Governo tecnico’
Recovery Fund: Carlo Cottarelli
Interni: Luciana Lamorgese
Esteri: Giampiero Massolo
Mef: Fabio Panetta
Mise: Marco Bentivogli
Lavoro e previdenza: Tito Boeri
Infrastrutture: Raffele Cantone
Giustizia: Marta Cartabia
Ambiente: Carlo Giovannini
Salute: Antonella Viola o Ilaria Capua
Istruzione: Patrizio Bianchi
Università: Antonella Polimeni
Si tratta, come si vede, di una squadra dove la componente politica viene, nei fatti, cancellata. Al Mef, al posto di Gualtieri, arriverebbe un amico di Draghi e un numero uno come Fabio Panetta, ex dg della Banca d’Italia e ora membro del board della Bce. Alle Infrastrutture il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, papà dell’Anac e del Codice degli Appalti per far partire, nella legalità, tutti i cantieri che dovremo per forza aprire nei prossimi mesi. Ma un governo del genere potrebbe avere una vita molto corta e, soprattutto, assai stentata dentro le aule del Parlamento…