Roma, 1 settembre 2019 - La bomba ad orologeria Di Maio non è stata disinnescata. Per ora, gli artificieri giallo-rossi sono riusciti a sbloccare lo stallo sui programmi. Ed è per questo che i governisti esultano, dopo aver temuto che il premier incaricato rinunciasse al mandato: sui contenuti si inizia a profilare un’intesa. Un passo avanti, visto che 24 ore prima anche questa era, o più esattamente sembrava, in alto mare. Ma la sorte dell’ex vicepremier resta in bilico, ed è un elemento fondamentale ai fini sia della nascita sia della natura del governo. Non casualmente, dal Nazareno rimbalza una domanda precisa di Zingaretti: "Vogliamo capire se comanda Conte o comanda Di Maio". Il punto è questo: probabilmente si capirà solo all’ultimo momento. Le voci di un incontro tra i due leader politici e il premier si rincorrono per tutto il giorno, smentite dai diretti interessati.
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Il confronto inevitabilmente ci sarà, ma quando non sembra saperlo nessuno. In ogni caso, dopo la deflagrazione provocata a freddo da Di Maio venerdì, si registra un sensibile calo della temperatura. All’ora di pranzo, i capigruppo Pd e M5s incontrano Conte: oltre a raccogliere l’irritazione di quest’ultimo per l’intemerata del capo politico grillino, mettono a posto alcuni tasselli del puzzle programmatico. Alla fine del vertice i pentastellati esultano: "Abbiamo ottenuto lo stop a nuovi inceneritori e a nuove concessioni sulle trivelle, la revisione delle concessioni autostradali, il taglio dei parlamentari nel primo calendario utile alla Camera, la lotta all’immigrazione clandestina, alla criminalità e all’evasione fiscale".
Nono sono da meno i democratici: "Sono state accolte gran parte delle nostre proposte a partire dal taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori, da una nuova legge sull’immigrazione, dal blocco dell’aumento dell’Iva e dallo sblocco immediato delle infrastrutture". Tutti sanno che il programma non ha mai rappresentato il vero ostacolo: tanto ottimismo si spiega perché l’intesa su alcuni punti chiave dell’attività di governo suona come fausto presagio per la risoluzione del vero nodo. E cioè l’assegnazione di quella vicepresidenza che Di Maio reclama e il Pd di Zingaretti non vuole concedere. In realtà, una mediazione digeribile per i democratici circola da giorni: si taglia la testa al toro, eliminando i vicepremier. Difficile dire se verrà accettata, di certo c’è che il vero nodo è l’ostilità del leader politico 5 Stelle verso questo governo. Ecco perché, nei conciliabili di queste ore, si dà per certo che tanto al Colle quanto al Nazareno si tirerebbe un sospiro di sollievo se Luigi non entrasse proprio nell’esecutivo. "E' una finta: parla ai suoi", rassicura Conte. In parte è così, però anche questo è un problema: Di Maio deve apparire come un leader per far accettare l’intesa al popolo pentastellato. Sul piatto c’è la contrapposizione tra lui e il premier per la guida reale del Movimento, cui allude Zingaretti. Un nodo che si intreccia con il voto sulla piattaforma Rousseau che si dovrebbe fare martedì, ragion per cui Conte porterà la lista al Colle mercoledì: fondamentale il quesito che Davide Casaleggio sottoporrà agli iscritti. La natura della domanda determinerà anche la valenza del risultato.
Né il ruolo di Di Maio è l’unica ombra che inquieta il premier incaricato: l’altra riguarda i numeri a Palazzo Madama, dove si profila il rischio di una maggioranza esigua. Di qui l’importanza di Leu con i suoi 4 senatori. Batte cassa Grasso, forse in cerca di un incarico ministeriale: "Ci hanno escluso dalla discussione sul programma. Forse vogliono fare da soli. Auguri". Conte replica che è pronto a incontrarli: sarà lui che deciderà se entreranno al governo.