Venerdì 29 Novembre 2024
Antonella Coppari
Politica

Schermaglie di governo. Forza Italia rilancia sull’Irpef. E il Carroccio riapre la partita Rai

La proposta degli azzurri: usare i soldi risparmiati su viale Mazzini per modificare le aliquote. Dopo-Fitto, si fa strada l’ipotesi di mantenere unite le deleghe. Ma scarseggiano i pretendenti

Roma, 30 novembre 2024 – La partita non è chiusa. O almeno la Lega assicura di non aver alcuna intenzione di deporre le armi sul nodo della Rai. L’attacco è rovesciato rispetto all’emendamento che ha provocato la prima frattura del centrodestra al Senato. Lì il Carroccio voleva abbassare il canone ben sapendo che la conseguenza sarebbe stata un innalzamento dei tetti pubblicitari dell’azienda pubblica. La proposta di legge depositata alla Camera da Stefano Candiani parte da qui, per arrivare poi alla diminuzione del canone del 20% l’anno: se non è zuppa è pan bagnato.

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Raffaele Fitto nella sua ultima uscita da ministro, venerdì con la premier Meloni
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In questo caso, però, Forza Italia la prenderebbe anche peggio perché la mazzata colpirebbe immediatamente gli interessi Mediaset. Quella proposta di legge è dinamitarda, come ammettono fuori dai denti i vertici azzurri: vorrebbe dire la crisi di governo. Si tratta però di un periodo ipotetico della assoluta irrealtà: la pdl è depositata in Parlamento, dunque è estremamente difficile che, pericolosa come è, arrivi a essere discussa e votata. Le cose starebbero molto diversamente se si trattasse dell’emendamento a un decreto, allora sì che il guaio sarebbe grosso, ma la Lega, per ora, non sembra intenzionata a trasformare la proposta innocua in affilato emendamento. Insomma ruggisce ma non morde.

Nemmeno FI ha rinunciato al miraggio di abbassare l’aliquota Irpef dal 35 al 33 per cento per i redditi fino a 50mila. Il portavoce Raffaele Nevi, quello del ’paraculetto’, se ne esce con una trovata già anticipata da Antonio Tajani: “Visto che i 430milioni del canone sono vacanti, perché non li mettiamo sull’Irpef?”. La risposta sarebbe ovvia: non coprono nemmeno un quinto della spesa per l’abbassamento dell’aliquota poiché ci vorrebbero 2,5 miliardi. Rilancia Maurizio Gasparri: “Si possono utilizzare anche i proventi della proroga del concordato fiscale”. Gli azzurri si accontenterebbero anche della riduzione di un punto percentuale, ma il viceministro Maurizio Leo ha già messo le mani avanti: aiutare il ceto medio è l’obiettivo, “vedremo se questo o il prossimo anno”.

L’unico tema vero sul tappeto è la sostituzione di Raffaele Fitto: un nodo non solo reale, ma anche da sciogliersi rapidamente. Ne ha parlato a lungo la premier con l’oramai ex ministro, visto che ieri ha annunciato le sue dimissioni via social: “Due anni entusiasmanti” al governo, scrive nelle ore del trasloco a Palazzo Berlaymont con l’incarico di vicepresidente esecutivo della Commissione guidata da Ursula von der Leyen. “Un’esperienza indimenticabile”, sottolinea ringraziando colleghi e collaboratori, in cima a tutti Meloni “che ha avuto fiducia” in lui.

C’è da dire che il capo dello Stato mercoledì a pranzo è stato convincente, dal momento che il progetto di arrivare a gennaio ha ceduto il posto al tentativo di chiudere entro la prossima settimana, e c’è chi scommette magari già lunedì. Più facile a dirsi che a farsi sia per quanto riguarda le deleghe del futuro ministro che il suo nome. È ancora in ballo la scelta tra lo spostamento dei settori più importanti gestiti da Fitto, Pnrr e Coesione, dagli Affari Europei a Chigi.

La premier sembrava decisa a tenersi in casa i due settori chiave, affidando il primo a Fazzolari e la Coesione a Mantovano, ora tutto torna in alto mare. Capita che i sottosegretari abbiano già collezionato un numero di deleghe e di impegni esorbitanti, chiedere loro di gestire deleghe che esigono il tempo pieno non sembra più tanto consigliabile. Così, cresce l’ipotesi di mantenere tutte le deleghe nelle mani del nuovo ministro, ma sul nome c’è un problemino: nessuno per diversi motivi sembra aver particolarmente voglia di assumere l’incarico. L’ultimo a chiamarsi fuori dalla corsa è Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati: “Non ci sono cardinali, papi e monsignori, né tantomeno autocandidature”. Più allettante, per lui, la promessa fatta balenare dalla premier di candidarlo a sindaco di Milano.

Resterebbe l’ipotesi Elisabetta Belloni, ma i dubbi proliferano: sarà proprio il caso di mettere gli Affari Europei in mano a una ex alta funzionaria della Farnesina che ha tessuto, come responsabile del Dis, rapporti strettissimi con i servizi segreti? Senza contare che Tajani – il quale non ha rinunciato all’idea di piazzare lì un suo uomo (o meglio una donna: Letizia Moratti) la prenderebbe malissimo. E nel vertice di FdI non tutti sono d’accordo: il presidente del Senato, Ignazio La Russa, indica la strada opposta. “È più facile trovare le energie nella politica”, pur premettendo: “Non mi permetterei mai di dare suggerimenti a Giorgia Meloni”, senza pretendere che nessuno gli creda. Fatto sta che torna a circolare il nome del senatore Giulio Terzi di Sant’Agata ma non è escluso che Meloni tenga il vero identikit coperto.