
Elly Schlein, 39 anni, segretaria del Pd
Labor limae, ovvero l’arte di cesellare ogni dettaglio di un testo prima della sua pubblicazione. Ci si adoperava già Orazio nella Roma di Augusto e duemila anni dopo, nella Roma di Elly e di Giorgia, eccoci ancora lì. Così ieri mattina, mentre la premier presentava al Senato il frutto del minuzioso lavoro di lima sul suo discorso fatto per non impensierire nessun alleato (risultato ottenuto: i suoi lo hanno votato tutti), negli uffici del Pd il testo della mozione che i dem presenteranno oggi alla Camera subiva un trattamento ancora più di fino e radicale.
La resa finale è un’opera di ingegneria politica pensata per ricucire gli strappi e togliere se possibile anche il segno dei punti, o perlomeno andar giù di cerone sulle cicatrici. Così se RearmUe "va radicalmente cambiato", il fatto non è che non vada bene, piuttosto che non risponde all’"indifferibile" esigenza di costruire una vera difesa". Dunque con le armi. Che pure però il testo non cita col loro nome, chiamandole cripticamente "capacità strategiche comuni". Da finanziare con lo strumento Safe indicato dal governo, va bene, ma non a prestito, bensì a sovvenzioni, ovvero non con i bilanci dei singoli stati.
Ecco il labor limae. D’altronde ci si muove sul crinale stretto e scivoloso di un’unità che a Strasburgo era andata in frantumi fragorosamente, spaccando il gruppo dem a metà come una mela. Dalla parte della minoranza del partito le battute si sprecano: "Più che equilibrio questo è vero equilibrismo". Ma intanto un testo condiviso arriva, e Schlein, visto il precedente, ne fa comunque un punto d’onore: "Noi – rivendica –, siamo gli unici a entrare nel merito delle questioni. A dire sì alla difesa comune" ma anche "come dobbiamo costruire quella difesa comune". E soprattutto con quali soldi.
L’ultimo tassello della mozione Pd si sistema quando è ormai quasi a ora di pranzo, e Giorgia Meloni sta viaggiando in macchina da Palazzo Chigi verso Palazzo Madama. Si chiama punto 8 ed è il più faticoso per la minoranza del partito perché, in linea con la posizione della segretaria, i dem chiedono al governo di farsi portavoce di una "radicale revisione del piano di riarmo proposto da von der Leyen, sulla base delle critiche avanzate". Si parla degli investimenti comuni "effettivi" e che non vadano a intaccare perciò le altre priorità "sociali, di sviluppo e di coesione".
In cambio i riformisti di Energie popolari chiedono e ottengono un passo che dice testuale che il libro bianco è comunque "un avvio del percorso di discussione per la costruzione di una difesa comune". Non è tutto da buttare, si legga, per non sconfessare il fatto che loro a Strasburgo lo hanno votato. Equilibrismi, si diceva, ma il risultato è che al voto di oggi, perlomeno, si arriverà unitari. Esulta Paola De Micheli, che negli ultimi giorni si è spesa da pontiera: "La mediazione trovata nel Pd dimostra che non occorre alcun congresso – ribadisce quanto aveva già detto a Qn – Se i democratici discutono e si confrontano tra loro, si trova la sintesi migliore".
Quanto sia forte o se invece è fragile lo si vedrà oggi alla Camera e la prova del nove, più che il testo dem o quello di Azione, è quello del Movimento 5Stelle. La loro mozione è già pronta da tempo. Un testo molto più dritto e articolato – 29 punti contro gli 11 dem –, che in una votazione a pezzi promette di provare a portare dalla sua parte stralci di Nazareno e, chi lo sa, magari anche del Carroccio. Anche il testo dei pentastellati ieri mattina era tornato in laboratorio. Il labor limae in questo caso, però, più smussare gli angoli ha prediletto affilarli in nome di una maggiore nettezza. Chiedendo al governo di impegnarsi a interrompere la fornitura di armi all’Ucraina, di escludere categoricamente l’invio di truppe (ma Meloni lo ha sapientemente già escluso ieri in Senato) e a manifestare in tutte le sedi la contrarietà del governo a RearmUe o comunque di "subordinarne l’eventuale adesione a un preventivo passaggio alle Camere" e qui, per dire, l’ammicco agli altri gruppi è fortissimo.