Martedì 18 Marzo 2025
ANTONELLA COPPARI
Politica

Gli equilibri in maggioranza. Riarmo e aggressione russa: le parole tabù sull’asse FdI-Lega

Oggi in Senato la premier dovrà fare uno sforzo di diplomazia per non irritare Salvini. Meloni sta anche pensando di lanciare un appello all’opposizione (sempre più divisa).

La premier Giorgia Meloni e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ieri all’Altare della Patria

La premier Giorgia Meloni e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ieri all’Altare della Patria

Più di quel che Giorgia Meloni dirà oggi alle 14.30 all’aula del Senato conta quel che non dirà: la divisione nella maggioranza sconfina nell’insanabile. L’accordo può passare solo per reticenze e non detti. Due sopra tutti: la parola aggressione, che la premier ha usato infinite volte a proposito dell’invasione russa dell’Ucraina stavolta sarebbe meglio evitarla. Bisogna prevenire colpi di testa di Salvini. Ma la vera parolaccia impronunciabile è riarmo: Meloni è pronta a mordersi la lingua pur di non farsela scappare nelle comunicazioni al Parlamento in vista del Consiglio europeo. Difesa, piuttosto, che vuol dire non solo armi, ma molto altro e tutto gradito al capo leghista.

Fissati i paletti di quel che non si può dire, Giorgia si terrà sul vago: oltre a riaffermare il suo mantra, "l’Occidente non si deve dividere", vuole lanciare un appello all’opposizione, perché data la gravità della situazione, dia una risposta da unità nazionale. Non che ci speri: l’esca è indirizzata praticamente solo a Calenda, l’unico che potrebbe aprire un varco. Poi, gli argomenti forti: la difesa, appunto. E l’immigrazione, cavallo di battaglia che sarà cavalcato fino a sfiancarlo. Del resto, difendere i confini vuol dire anche proteggerli dalla "vera minaccia", quella delle orde clandestine. E l’innominabile piano di riarmo servirà pure alle forze dell’ordine incaricate di difendere le frontiere. La risoluzione di maggioranza è ancora più vaga: parla di tutto, dall’Ucraina alla tregua a Gaza, dalla competitività alla liberazione degli ostaggi di Hamas. Annegata in dodici punti, c’è la difesa ma per ribadire che deve rafforzare le capacità operative degli stati europei nel quadro dell’alleanza Nato.

E ieri di rassicurazioni pensate anche per rabbonire il leader leghista ne sono diluviate: il ministro della Difesa, Guido Crosetto ha garantito, trattati Nato alla mano, che "l’esercito comune europeo è fuori discussione perché proibito". Si dovrà invece rafforzare gli eserciti nazionali e poi integrarli. Antonio Tajani, a Bruxelles per la riunione dei ministri degli Esteri Ue, ha toccato punti nevralgici; ha rimarcato la necessità di evitare frizioni con gli Usa di Trump: "Non sono un nemico, sono il nostro principale, storico alleato". Già che ci si trova, propone di convocare il Quintetto Nato – Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia – direttamente a Roma. Ancora più gradito per Salvini il colpo di freni sul progetto di aiuti all’Ucraina per 40 miliardi dell’Alto rappresentante Ue Kaja Kallas: "Va studiato. E poi prima di ogni decisione, dobbiamo vedere cosa esce fuori dalla telefonata Trump-Putin".

Quella telefonata è una preoccupazione per la premier, può cambiare tutto ma lei dovrà parlare senza sapere come è andata. Confida di conoscerne gli esiti prima della replica alla fine del dibattito. Speranza per speranza Giorgia si augura anche di mettere a segno un colpo grosso benché le probabilità di farcela siano scarse. Se riuscisse ad annunciare prima della votazione di stasera o del dibattito di domani a Montecitorio l’incontro con Trump si ritroverebbe in una botte di ferro tanto nel Parlamento italiano quanto nel Consiglio europeo.

Per l’opposizione il problema di una risoluzione unitaria non si è mai posto. Ogni partito ha la sua; il capogruppo leghista, Massimiliano Romeo, spera di potersi astenere sul testo M5s che boccia il piano di riarmo, ove il governo desse parere in tal senso, ma è una chimera. Il vero nodo è evitare che il Pd si spacchi come a Strasburgo. Il compito di scrivere un testo capace di tenere insieme sostenitori e nemici del riarmo è toccato a Peppe Provenzano. Si lavora fino a notte per trovare il modo di rendere potabile ai riformisti la critica di Schlein al piano di von der Leyen. Il compromesso potrebbe essere "va cambiato" invece di "radicalmente modificato". Se la mediazione reggerà all’urto delle fazioni del Pd si scoprirà stamani nell’assemblea dei gruppi. Poi tutti in aula per un dibattito nel quale la trasparenza è la grande assente.