Lunedì 10 Febbraio 2025
CLAUDIO CUMANI
Politica

Giulio Napolitano e papà Giorgio: "Il mio racconto pubblico e privato"

Il figlio dell’ex capo dello Stato: "È sempre stato attento alla famiglia. Lavorava per un Pci socialdemocratico"

Il professor Giulio Napolitano

Il professor Giulio Napolitano

Roma, 10 febbraio 2025 – Chi era suo padre? Giulio Napolitano, professore cinquantacinquenne di Diritto amministrativo all’università di Roma Tre, soppesa con attenzione le parole per descrivere un genitore illustre. Perché Giorgio Napolitano è stato il primo eletto per due mandati consecutivi alla presidenza della Repubblica, il primo ex membro del Pci a ricoprire un incarico di così alto prestigio e il precursore di una sinistra emancipata. "È stato – risponde – un uomo che, come i migliori della sua generazione, ha creduto nell’impegno collettivo nella politica e nelle istituzioni prima per ricostruire l’Italia dalle macerie della guerra, poi per fare avanzare il progresso e infine per rendere il nostro Paese protagonista in Europa".

Il secondogenito dell’ex Capo di Stato e di Clio Bittoni (il fratello maggiore Giovanni ha otto anni in più) ha raccontato il suo ‘mestiere di figlio’ in un libro, Il mondo sulle spalle. Una storia famigliare e politica (Mondadori), che è una sorta di memoir nel quale si mescolano pubblico e privato, vicende intellettuali e collettive, tono formale e scherzoso. Il volume viene presentato venerdì 14 alle 18 nella sala Stabat Mater dell’Archiginnasio di Bologna: intervengono con l’autore il senatore Pier Ferdinando Casini, il presidente della Regione Emilia-Romagna Michele de Pascale e la direttrice di Qn-il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno Agnese Pini.

Professore, non vale più la regola secondo la quale in politica è meglio non raccontare il privato?

"Ho voluto rompere il tradizionale silenzio per restituire un senso di umanità alla politica. A quella politica che era totalizzante nella vita della nostra famiglia, ma che non ha mai impedito a mio padre e mia madre di avere e riversare amore e attenzione ai figli".

È singolare la vicenda di un ragazzino che frequenta la sede del Pci di via Botteghe Oscure e Montecitorio e osserva la politica da un’angolazione particolare. Come l’ha vissuta?

"In realtà ero felice di incontrare personalità tanto carismatiche, che fossero dirigenti del Pci o esponenti di altri partiti".

Quali sono i suoi primi ricordi della vita pubblica italiana?

"Il grande successo del Pci nel 1976 annunciato dalla grande folla in piazza San Giovanni alla conclusione della compagna elettorale e poi la difficile prova del compromesso storico fino al barbaro assassinio di Aldo Moro. Fra gli amici dei miei genitori amavo Renato Zangheri, allora sindaco di Bologna: mi portava la famosa scorza fondente della Majani facendomi credere che nella sua città gli alberi fossero di cioccolato".

Con suo padre ha sempre avuto un fitto rapporto epistolare?

"Mi scrisse la prima lettera per il compleanno dei 18 anni e presto nacque l’abitudine di mantenere quel dialogo morale e intellettuale".

In che modo Giorgio Napolitano è stato portatore di nuove visioni?

"Fin dagli anni ‘70 ha lavorato per l’avvicinamento del Pci ai partiti socialisti europei ed è stato il primo ad andare negli Stati Uniti a spiegare l’ancoraggio transatlantico del partito".

Si è molto parlato dei rapporti con Berlinguer. Com’erano?

"Negli anni ‘70 fra loro c’era una grande intesa politica e una forte amicizia fra le nostre famiglie. Finito il compromesso storico, Berlinguer puntò tutto sulla questione morale e sulla diversità comunista, mio padre invece riteneva che la costruzione di un’alternativa di governo alla Dc imponesse comunque di dialogare con il Psi e i partiti laici".

Come giudica la nuova attenzione attorno alla figura di Bettino Craxi?

"La seguo con interesse. Mio padre ebbe sempre rispetto e anche apprezzamento per il suo ruolo di leader del Psi e di presidente del Consiglio, anche se non mancarono divergenze e talora duri contrasti. Nel decennale della morte, da presidente della Repubblica, scrisse alla vedova una lettera non scontata di pubblico elogio per il suo ruolo in campo internazionale e la visione europeista".