Roma, 7 ottobre 2023 – “Un magistrato non può partecipare a manifestazioni conflittuali e pensare di essere ritenuto imparziale. La contraddizione, in termini di etica professionale, è palese". Luciano Violante, ex magistrato ed ex presidente della Camera, una vita a sinistra, è netto.
Dunque, il caso Apostolico è di agevole definizione?
"Sgombriamo il campo da questioni che non c’entrano niente, come quella delle opinioni politiche del marito, che sono un fatto privato. O come quella relativa alla sentenza, della quale si occuperà la Cassazione. Arriviamo al punto. E il punto è quello che riguarda il comportamento dei magistrati e la loro partecipazione a manifestazioni di parte".
Perché non devono essere possibili?
"Una premessa. Fino ai primi del Novecento le leggi erano poche e chiare: il magistrato traeva la sua legittimazione dalla applicazione della legge. Era, si diceva, la bocca della legge. Dalla metà del secolo scorso tutti i sistemi ordinamentali si sono fortemente inflazionati, hanno perso coerenza, si sono articolati in diversi livelli intrecciati tra loro: livelli internazionali, europei, nazionali, regionali, sentenze delle Corti costituzionali. Parallelamente alle magistrature sono stati attribuiti grandi poteri discrezionali e grandi poteri di intervento nella vita e nella reputazione dei cittadini. Tutto questo ha reso spesso difficilmente definibile a priori la regola da applicare al caso concreto. E a questo punto la legittimazione del magistrato non sta più nell’essere la bocca della legge, ma nell’essere un soggetto che interpreta la legge in modo credibile. Dunque, io magistrato posso fare le migliori sentenze in assoluto, ma se mi schiero con chi è parte di un conflitto non sono più credibile e ledo la mia funzione costituzionale".
C’è chi sostiene che schierarsi con i più deboli, però, sia consono a un giudice.
"Ho letto anche questa posizione di una persona che stimo molto, come Armando Spataro, secondo cui si deve stare dalla parte dei più deboli. Si deve stare dalla parte dei diritti dei più deboli, come impone l’articolo 3 della Costituzione, con le sentenze, non con le manifestazioni. Non si può rivendicare indipendenza, e poi tenere comportamenti che la mettono in discussione".
La giudice di Catania ha obiettato che era lì per fare da mediatrice.
"Non mi pare fosse il suo compito".
I vertici dell’Anm, dal canto loro, parlano di screening sui giudici, mentre il Pd punta l’indice su come il video sia finito a Matteo Salvini.
"Può darsi che qualcuno abbia violato un segreto di ufficio rendendo inconsapevolmente ricettatore chi ha usato il video. Ma questa è una polemica deviante. Le società fortemente polarizzate, come la nostra, hanno bisogno di figure terze, che possano risolvere in modo credibile i conflitti. È una responsabilità ulteriore che grava sulle spalle della magistratura".
L’etica pubblica, dunque, impone obblighi specifici ai magistrati?
"Sì. C’è un punto di etica professionale che va chiarito: un magistrato, per il suo specifico ruolo costituzionale, ha doveri più stringenti di un qualsiasi altro funzionario pubblico. Da qui il dovere di non partecipare a manifestazioni conflittuali che possano mettere in discussione la sua credibilità come soggetto imparziale. Si possono manifestare in modo corretto, non conflittuale, le proprie opinioni".
Come?
"Con studi, articoli, interventi in sedi proprie; evitando sempre di essere e di apparire parte di un conflitto sociale o politico".
Quando un magistrato vuole fare politica, insomma, deve lasciare la toga. Ma può tornare a fare ugualmente il giudice, chiusa l’attività politica?
"Ho visto ottimi magistrati diventare ottimi dirigenti politici. Alfredo Mantovano è stato un ottimo magistrato, è stato un ottimo sottosegretario all’Interno, è tornato a fare il magistrato in modo eccellente e oggi sta a Palazzo Chigi. Quelli di Salvatore Senese e di Pier Luigi Onorato, di altra parte politica, sono altri casi esemplari".
Il problema di fondo è che i rapporti complessivi tra politica e magistratura restano controversi e conflittuali.
"Ho letto che quel magistrato, con quella sentenza, sarebbe colpevole di essersi mosso contro gli eletti dal popolo. Ma tutta la storia delle libertà nelle democrazie, dalla rivoluzione americana in poi, si fonda sui limiti che la giurisdizione pone al potere politico e sulla rivolta del potere politico che non vuole limiti. Anche oggi in Paesi vicini a noi, si tenta di condizionare il funzionamento delle Corti Costituzionali. Questa strada porta al caos o alla riduzione delle libertà. Serve un atteggiamento responsabile, persuadente e non conflittuale. Le istituzioni si devono rispettare reciprocamente perché i cittadini possano rispettarle. Questo è lo sforzo da fare da parte di tutti".