Lunedì 25 Novembre 2024
RAFFAELE MARMO
Politica

Morto Napolitano, l’amico Ranieri: “Lo scudetto del Napoli e le poesie di Montale. Era un uomo di Stato”

È stato uno degli intellettuali e politici più vicini a Napolitano. “Capì subito che il Pci doveva ricollocarsi nel socialismo democratico. L’interventismo con Berlusconi premier? Non ha mai forzato”

Umberto Ranieri, 75 anni, è stato eletto cinque volte alla Camera

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Roma, 22 settembre 2023 – La partita Napoli-Fiorentina insieme al San Paolo a esultare per la conquista dello scudetto per il Napoli nell’87. Le passeggiate riservate a Villa Borghese. Le amate poesie di Montale, la passione per il cinema. Il culto dell’amicizia come legame di decenni. La simpatia, le battute, la curiosità per tutto. Giorgio Napolitano nei ricordi di Umberto Ranieri, uno dei politici e intellettuali che più gli sono stati a fianco, non è solo l’uomo delle istituzioni, austero e imponente. E’ un maestro e un amico di una vita, con il quale ha diviso e condiviso il percorso che va dall’antica militanza nel Pci o, meglio, nella corrente migliorista del Partito comunista, agli anni degli incarichi nelle istituzioni, fino a quelli del Quirinale.

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Quando vi siete conosciuti?

“Ci siamo conosciuti quando io ero un giovane comunista e Giorgio Napolitano era già un uno dei più autorevoli dirigenti del partito: e quello che mi colpiva era la saldezza del suo orientamento ideale e politico che arricchiva con l'esperienza, con i contatti con personalità della sinistra internazionale e con lo studio. Giorgio non era mai impreparato su nessuna delle questioni che doveva affrontare, sempre puntuale e capace di intervenire nel merito delle questioni. Un uomo politico che non ha mai rinunciato a studiare i dossier. Con un segno di attenzione precipua per la politica estera”.

Chi erano i suoi riferimenti all’estero in quegli anni?

“Aveva arricchito la sua storia politica di relazioni con personaggi autorevoli del suo tempo: dall’economista Piero Sraffa allo storico inglese Eric Hobsbawm che gli fece un'intervista che fu che anche un successo nelle vendite. Ebbe una grande collaborazione anche con Ralf Dahrendorf e Jaques Delors nell'accelerazione del processo di integrazione europea”.

Erano gli anni del Pci berlingueriano: lui, erede di Giorgio Amendola, leader della minoranza migliorista del partito, guardava, però, alla socialdemocrazia e non a Mosca.

“Per Giorgio Napolitano la storia della sinistra italiana era stata segnata negativamente dalla scelta di separarsi dalla socialdemocrazia, una scelta che aveva impedito al sistema politico di ruotare intorno all'alternanza al governo tra conservatori e socialisti, con tutte le conseguenze che questo aveva avuto dal punto di vista complessivo dello sviluppo democratico del Paese. Era convinto che le forze che si erano riconosciute nel Pci dovessero essere ricollocate nel campo del socialismo democratico e liberale per dare un avvenire alla sinistra italiana: questo era il punto e questo fu poi la questione che suscitò tensioni nel partito».

Una battaglia che non contraddiceva l’adesione al Pci?

“Giorgio ricordava e sottolineava i meriti del Pci nella costruzione dello Stato democratico, nella promozione sociale delle masse popolari e tuttavia era consapevole che il suo legame con l'Unione Sovietica aveva reso impossibile al Pci di assumesse responsabilità di governo: questo era il lato tragico di una grande forza, la doppiezza del Partito comunista. Lui ne diventa sempre più consapevole e sceglie di condurre nelle forme in cui era possibile nel Pci una battaglia per fare in modo che il Partito comunista assumesse sempre di più i caratteri di una forza socialdemocratica».

A differenza di Enrico Berlinguer, Napolitano guardava al Psi di Bettino Craxi come al partito con cui costruire l’alternativa alla Dc.

“Diciamo che era persuaso della necessità che si lavorasse per ridurre le tensioni tra comunisti e socialisti e per fare andare avanti un processo unitario a sinistra: questa era la strada obbligata per tentare di costruire un'alternativa di governo alla Democrazia cristiana. Giorgio riconosceva al Partito socialista l'ansia di autonomia e di un ruolo distinto rispetto ai comunisti. Giorgio fu un sostenitore della costruzione dell'unità a sinistra anche se le due personalità erano diverse, ma Giorgio era molto aperto al dialogo, al confronto e all'unità con il partito socialista, perché lo riteneva indispensabile e per le prospettive politiche del Paese e della sinistra”.

Dal Pci alla guida della Camera, al Ministero dell’Interno, al Quirinale: una lunga vita da uomo di partito a uomo delle istituzioni.

“Napolitano, pur appartenendo a una parte politica, è stato un uomo delle istituzioni dello Stato democratico, un impeccabile presidente della Camera tra il ‘92 e il ‘94 in una fase tra le più difficili della storia della Repubblica, ministro dell’Interno tra il ‘96 e il ‘98 e Presidente della Repubblica tra il 2006 e il 2015, gli anni della grande crisi finanziaria e politica. Napolitano al Quirinale ha mostrato riserve di energie e determinazione che gli permisero di affrontare per esempio il passaggio del 2011, quando l'intreccio tra la crisi finanziaria e collasso politico sembrava condurre l'Italia al fallimento e ebbe la forza di rimettere sui binari il Paese anche se non mancarono critiche e invettive per le scelte che fece per salvare il Paese”.

Il rapporto con Silvio Berlusconi è stato, però, controverso: e non manca chi lo ha accusato di eccessivo interventismo.

“Si è sempre mosso nel quadro dei limiti previsti dalla Costituzione, senza forzature. Ma è evidente che di fronte alla inconsistenza del mondo politico ad affrontare la crisi, la Presidenza della Repubblica assunse il carattere che alcuni studiosi hanno poi riassunto della formula del motore di riserva della democrazia italiana e quindi fu chiamato a svolgere questo ruolo in presenza di un decadimento della capacità dei partiti politici di assumersi responsabilità e di mettere fine a una selvaggia contrapposizione tra gli schieramenti”.

La rielezione fu contrassegnata da un severo monito ai partiti.

“Giorgio Napolitano chiese a più riprese alle forze politiche esplicitamente in Parlamento e nei contatti con i dirigenti politici di realizzare le riforme economiche e istituzionali tra le quali anche la riforma della giustizia indispensabili per il Paese. Ma fu un tentativo vano perché la rissosità tra i partiti fu tale da impedire che in questa direzione si operasse E questo fu motivo anche negli anni successivi di un forte rammarico”.

Un’ultima nota più personale. Chi era Giorgio Napolitano per lei?

“Io ho sempre guardato a Giorgio come un punto di riferimento della mia vita politica e abbiamo avuto anche una continuità di rapporti politici, culturali, umani. Lo accompagnavo nelle sue passeggiate a Villa Borghese quando finalmente poteva avere un po’ di libertà di libertà dagli impegni serrati e stringenti del suo lavoro al Quirinale. Abbiamo sempre affrontato e discusso di tutto in un rapporto molto profondo e umano. Giorgio era una persona anche molto simpatica pur essendo un politico classico. Era un uomo, tra l’altro, con cui si poteva parlare di tutto: si poteva parlare di cinema, a cui era molto interessato, si poteva parlare di poesia, era un grande amante della poesia, soprattutto di Montale. Ho visto con lui addirittura la partita che segnò la vittoria dello scudetto del Napoli nel 1987, Napoli Fiorentina, uno a uno”.