Non sostenere né bastonare. La premier circoscrive l’irritazione, in realtà elevatissima, nella cerchia degli intimi. L’anatema di Kiev verso il Cavaliere, che l’altra sera aveva accusato Zelensky di essere di fatto responsabile dell’aggressione russa, gronda esasperazione: "Bacia le mani insanguinate del capo del Cremlino come l’ho visto fare nel 2010 con Gheddafi; incoraggia Mosca a continuare con i suoi crimini", tuona il portavoce del ministero degli Esteri, Oleg Nikolenko. "Dica pubblicamente di essere a favore del genocidio del popolo ucraino", rilancia Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino. Lei resta in silenzio: "Non si può ribattere colpo su colpo", dicono i suoi. Giorgia si augura che quando andrà in Ucraina – punta a farlo ben prima del 24 – l’eco delle parole del Cavaliere si sia affievolito.
Dopo aver rassicurato gli alleati internazionali, cerca di scansare le polemiche in patria elogiando la vittoria di Rocca e Fontana: "Un risultato che rafforza il governo". E facendo filtrare la notizia attesa da Silvio: il governo revoca la richiesta di costituirsi parte civile nel processo Ruby ter. Non a caso, subito dopo il leader di FI la chiama: prove di pace. A botta cald a, la premier aveva evitato contatti con lui, trovando modo di fargli arrivare il senso della sua furia. Complice un’influenza, probabilmente vera ma certo provvidenziale, mantiene il riserbo per tutto il giorno. Ci pensa la truppa: "Nessuno al governo condivide le parole di Berlusconi", dice il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. Uno dopo l’altro i democratici si indignano, bersagliano Silvio per colpire Giorgia, intimano al governo di chiarire la linea: in realtà non c’è niente da chiarire.
La linea dell’esecutivo è netta, ribadita a strettissimo giro da Palazzo Chigi, confermata dal ministro degli Esteri nonché numero due di FI, Antonio Tajani. Che non aveva esitato ad attaccarsi al telefono invocando un chiarimento, puntualmente arrivato, ma che lascia il tempo che trova: "Io non sto con Putin", scandisce Silvio. Ma minimizzare è impossibile. E non solo perché Berlusconi è il leader di una forza determinante nella maggioranza: in fin dei conti, a far mancare il voto provocando una crisi di governo non ci pensa affatto. Le spine sono altre: la modalità dell’intemerata, che stavolta non è stata rubata da una riunione a porte chiuse.
Quei concetti Berlusconi voleva dirli e voleva che arrivassero chiari all’Italia e all’estero. Lui non solo non è un parlamentare qualsiasi, ma non è neppure un leader come tanti. Giorgia Meloni fuori dai confini nazionali è ancora un nome appena conosciuto ai più. Berlusconi lo conoscono tutti. Una presa di posizione simile è di per sé stentorea e l’effetto sulle capitali occidentali è inevitabile. Lo capisce subito il commissario europeo Paolo Gentiloni che getta acqua sul fuoco: "Il governo è stato coerentemente a sostegno di Kiev".
Si adegua la Nato con Stoltenberg: "L’Italia rimarrà un forte sostenitore del deciso impegno della Nato per l’Ucraina". E altrettanto fa Bruxelles, benché la sinistra chiami in causa il Ppe: "Meloni è stata chiara". Ma il danno è tale che si può riparare fino a un certo punto, e non è escluso che questa fosse l’intenzione di Silvio. Togliere peso alla carta vincente che la premier può giocare sui tavoli internazionali. Da domenica l’immagine della leader in grado di controllare paese e alleati è sbiadita: ne potranno approfittare in Europa. L’opportunismo e l’occhio sempre vigile ai sondaggi incidono. Ma il Cavaliere alla linea esposta ci crede. Sembra convinto che senza ammettere che ci sono stati errori e torti da tutte le parti, la strada del compromesso (e del piano Marshall per la ricostruzione dell’Ucraina) non sarà mai percorribile.