Non aspetta la fine del dibattito e il voto che promuove come da copione la sua linea con 100 sì, 64 no e un astenuto. Troppo importante per Giorgia Meloni il vertice sui Balcani a Bruxelles, prologo del Consiglio europeo che inizia oggi. Occasione per ribadire la posizione italiana favorevole all’allargamento della Ue. "Dobbiamo riconoscere i progressi compiuti e premiare gli sforzi fatti. L’Italia è al vostro fianco: l’Europa è la vostra casa", il succo del ragionamento ai leader balcanici. Assolutamente in linea con quanto dice da tempo il capo dello Stato. Ed è proprio il monito lanciato da Sergio Mattarella martedì sera che risuona nelle orecchie della premier quando si presenta di buon mattino nell’aula del Senato: evitare di ridurre la dialettica politica alla categoria amico/nemico e stare in guardia contro lo strapotere delle corporation. Ogni riferimento a Elon Musk è intenzionale, e per Giorgia si tratta di un capitolo particolarmente spinoso.
Glielo sbatte in faccia Mario Monti ma aleggia in molti interventi. "Erigere Musk a protettore del nostro Paese non è dignitoso", attacca il senatore a vita. La replica è scontata: "Ho buoni rapporti con un sacco di gente, mi confronto con tutti ma non prendo ordini da nessuno". Insiste Simona Malpezzi (Pd): "Ci chiediamo perché voglia concedere la sovranità del nostro cielo a Musk. La sua politica estera si basa sull’amichettismo". Tuona la premier: "Presiedo il governo che ha regolamentato l’attività di privati nello spazio. Ma sentire che anche voi siete diventati sovranisti, la considero una grandissima impresa di Elon Musk, anche più di quella di essere arrivato sulla Luna".
I temi all’ordine del giorno del Consiglio europeo sono soprattutto Ucraina e Medio Oriente: in materia Meloni non si scosta di un centimetro dalle posizioni assunte negli ultimi due anni. Ma con Musk, i veri protagonisti del dibattito sono Trump e Javier Milei. Incalzata dal centrosinistra sulla "postura" della nuova amministrazione americana verso Kiev, elude il pressing: ha già risposto alla Camera, affermando che non c’è poi tanta distanza tra la linea italiana e quella di Trump. Sul presidente dell’Argentina è Matteo Renzi ad affondare il colpo: "Il suo rapporto con Milei è straordinario. Quando lui le ha portato la motosega, pensavo gli restituisse un Brunetta", dice il leader di Iv alludendo da un lato al simbolo del taglio della spesa pubblica dell’argentino, dall’altro agli emolumenti del presidente del Cnel. Ironizza Meloni: "Lei era amico di Barack Obama e si metteva il cappotto come lui, io sono amica di Milei ma mica mi faccio crescere le basette".
Per Renzi un gol a porta vuota: "Obama con il cappotto non l’ho mai visto. Ha sbagliato Matteo: è Salvini che è venuto in Parlamento con la cravatta rossa". A scanso di equivoci, la premier chiarisce comunque che la formula dell’amico Javier va "benissimo per l’Argentina ma non sarebbe proponibile per il nostro paese". E tuttavia quelle amicizie sono un problema, causa probabilmente del nervosismo che fatica a mascherare, come quando ripete un versaccio (ohohoh) partito dall’aula o litiga con i 5 Stelle sul Superbonus. Certo, duole anche la spina albanese: la premier conferma l’intenzione di non mollare perché quella "è lotta contro la mafia", ma non è la causa della tensione. Nei prossimi mesi Meloni deve conciliare relazioni diplomatiche opposte ma strategiche: l’internazionale di destra con Trump, Musk e Milei cui lei vuole dar vita, e l’asse con il Ppe e la fedeltà all’Europa che le hanno consentito di raggiungere la centralità a livello internazionale. Una mission se non impossibile certo difficile.