Siamo alle ultime battute per l’accordo tra Carlo Calenda e Matteo Renzi? Che cosa manca per il matrimonio tra Azione e Italia Viva?
"Dopo la scelta coraggiosa compiuta da Carlo Calenda domenica scorsa, possiamo finalmente costruire una proposta liberale, popolare, riformista, e dare agli italiani, in vista del voto del 25 settembre, un’alternativa concreta alla destra della Meloni e alla sinistra di Fratoianni", avvisa il ministro Maria Stella Gelmini. Che, appena il tempo di una pausa, arriva al nodo non sciolto di queste ore: "È questa la direzione intrapresa da Azione: chiunque voglia affiancarci in questa sfida e fare un pezzo di strada insieme è il benvenuto. Vedremo se Matteo Renzi ci sta. Sono ore in cui ci si confronta e si discute di programmi. Facciamo un passo per volta".
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Azione può diventare il baricentro attorno al quale si costruisce il polo dei moderati e dei riformisti, una sorta di Forza Italia 3.0?
"Dopo tanti anni di militanza ho deciso di lasciare Forza Italia perché si è resa complice di Matteo Salvini nello staccare la spina al governo Draghi. In quel preciso istante, Forza Italia si è consegnata definitivamente alla Lega, spostandosi verso destra e lasciando al centro uno spazio importante. So che tanti elettori moderati e riformisti si sentono traditi dall’irresponsabilità di chi per puro calcolo elettorale ha voluto privare il Paese di una guida autorevole come Draghi, ma sono certa che Azione saprà colmare questo vuoto e diventare la casa di chi a populismo e sovranismo preferisce europeismo, atlantismo, pragmatismo e riforme".
La sua adesione a Azione, in questo senso, è nel solco della continuità con il governo Draghi?
"Azione è la forza politica che più mette al centro il metodo e l’agenda di Mario Draghi. Abbiamo il dovere di portarla avanti per il bene dell’Italia. Infrastrutture, attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, formazione e Industria 4.0, taglio di Irap e Irpef, ambiente, una mensilità in più per i lavoratori: queste sono le nostre battaglie. La nostra campagna elettorale parte da qui".
La rottura con il Pd rientra in questo disegno? Era inevitabile per come si erano messe le cose?
"Siglando quel patto, pensavamo di poter dare continuità all’azione del governo Draghi. Ma l’accordo del Partito democratico con Sinistra italiana ha fatto saltare tutto. Tante, troppe le contraddizioni. Bene ha fatto Calenda a intraprendere una strada diversa. Era impossibile andare avanti".
Lasciando stare i sondaggi (che non sono lusinghieri in questa fase per voi), come terzo polo a chi vi rivolgete?
"Puntiamo al voto di chi è deluso dalla destra, ma ci rivolgiamo anche a chi ultimamente ha scelto di non recarsi alle urne. Questa volta una proposta credibile per il Paese c’è ed è quella di Azione. Le promesse elettorali e le chiacchiere via social le lasciamo agli altri. Per ricostruire questo Paese non serve demagogia, ma competenza, merito, visione".
Che cosa immaginate e auspicate per il dopo 26 settembre? Draghi dopo Draghi?
"Il presidente Draghi non si può tirare per la giacca. Ciò non toglie che molti italiani vorrebbero che portasse avanti il lavoro iniziato, e la sfida è riportarlo a palazzo Chigi o comunque portare avanti il suo metodo. Erano anni che in Italia non veniva avviato un progetto riformista così ambizioso: abbiamo programmato investimenti per oltre 230 miliardi di euro e una parte di queste risorse le abbiamo già incassate per infrastrutture, scuole, banda larga, sanità. Tante le riforme messe in campo, dalla giustizia alla concorrenza, al fisco. In più, senza fare nuovo debito abbiamo stanziato 30 miliardi di euro per far fronte al caro energia, mentre la scorsa settimana con l’approvazione del decreto Aiuti bis abbiamo destinato a famiglie e imprese altri 17 miliardi di euro. Per il bene dell’Italia questo lavoro non può andare disperso".
C’è da temere, invece, una vittoria del centro-destra, con la Meloni a Palazzo Chigi, per la credibilità europeista e liberale del Paese?
"Molti danno per scontato la vittoria della destra, io la vedo diversamente. La campagna elettorale inizia adesso. Capisco la delusione del mondo produttivo, di tante associazioni di categoria, di sindaci e amministratori locali per quanto successo in queste settimane. Più che la deriva autoritaria, mi preoccupa la risposta demagogica e senza prospettiva che un governo di destra a guida Meloni possa dare dinanzi alle emergenze che il Paese dovrà affrontare da settembre in avanti".