Roma, 27 ottobre 2024 – "Interverremo in Parlamento per modificare la versione della web tax contenuta nella manovra". Parola di Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato, uno dei politici sicuramente più attivi nell’impegno di far pagare le tasse ai giganti del web. E, nell’intervista a QN, non rinuncia alla stoccata polemica: "Vedo troppi addetti alle relazioni istituzionali delle big tech che fanno azioni di lobby sui miei colleghi parlamentari. Da me non vengono perché li farei rotolare… Ma sono pronto a fare nomi e cognomi e anche, se vuole, a comprarmi degli occhiali spia per documentare le accuse…".
Resta il fatto che l’attuale versione della web tax contenuta nella manovra rischia di avere un effetto pesante sulle piccole aziende e di non colpire le aziende più ricche. Non è così?
"Condivido le proteste della Fieg e le preoccupazioni degli editori. È un settore che dobbiamo tutelare. Se alle difficoltà già esistenti, aggiungiamo anche un’ingiustizia come questa, allora proprio non ci siamo".
Insomma, c’è il rischio che, ancora una volta, i giganti del web possano farla franca?
"Voglio esser chiaro. Ritengo l’operato dei colossi della rete, delle big tech, un atto di banditismo economico e fiscale non solo europeo ma planetario. E voglio denunciare la forte pressione che queste aziende stanno esercitando sulla politica e sui miei colleghi parlamentari. Non cederemo".
Anche per questo fino a ora le versioni della web tax hanno fatto cilecca?
"È vero che la global minimum tax ha consentito, fino a ora, di incassare poco meno di 400 milioni di euro, un granello rispetto al fatturato miliardario delle grandi aziende. Ma, nello stesso tempo, non possiamo colpire le piccole tv digitali o i gruppi editoriali solo perché hanno un sito web. Capisco, perciò, l’amarezza e lo stupore degli editori. La web tax deve colpire i grandi operatori del web che non solo non pagano le tasse, ma fanno concorrenza sleale rubando le notizie alle aziende editoriali. Ripeto: un vero e proprio atto di banditismo. Ma il discorso è ancora più ampio".
Ce lo spieghi.
"Posso capire gli Stati Uniti che difendono le aziende nazionali, ma non posso tollerare che ci siano paradisi fiscali a livello europeo. L’Irlanda, giusto per fare un riferimento concreto, ha registrato, negli ultimi 15 anni, un reddito pro capite e un Pil superiore di almeno dieci volte rispetto agli altri Paesi europei".
Ma allora perché non si interviene?
"Vedo in giro molte resistenze. Ad esempio, in Senato, abbiamo proposto un emendamento al decreto concorrenza che è stato dichiarato inammissibile. Io credo che sia inammissibile proprio questa decisione, farò nomi e cognomi".
Ne faccia almeno uno...
"Li farò. Ma penso, giusto per fare un esempio, a Casaleggio senior che faceva consulenza per questi giganti. È ovvio che può cambiare anche l’approccio su queste tematiche. SI può avere una sensibilità diversa. Ma deve essere chiaro a tutti che il banditismo fiscale dei giganti del web rischia di alterare le democrazie e gli equilibri economici. E poi perché gli irlandesi devono avere un vantaggio rispetto ai calabresi? Servono regole omogenee".
Oltre alla web tax, ci sono altri capitoli della Finanziaria che potrebbero essere migliorati nel corso del cammino parlamentare?
"Le leggi sono sempre migliorabili, non ho mai vista una legge di stabilità che entra e esce in fotocopia. Il governo deve difendere i saldi e ha fatto una cosa importante come la riduzione del cuneo fiscale che porta più soldi in busta paga per milioni di lavoratori. Ma credo che si possa lavorare su alcune questioni, senza stravolgimenti".
Sta pensando alle pensioni minime?
"Siamo lontani dall’obiettivo di legislatura dei mille euro. Lavoreremo ancora per rimodulare l’intervento. Così come lavoreremo per portare lo scaglione intermedio dell’Irpef da 50 a 60mila euro. Dobbiamo togliere a Bezos per dare di più a pensionati e contribuenti".