
Impasse risolta dopo mesi di tensioni. I nomi: Luciani, Cassinelli, Sandulli e Marini. Lunghe trattative sul profilo indicato da Forza Italia. La premier vedrà l’Anm il 5 marzo.
L’accordo c’era già da martedì e tuttavia sul successo della quattordicesima votazione sui 4 nomi da eleggere alla Corte costituzionale nessuno avrebbe scommesso fino all’ultimo secondo. Dubbi, esitazioni, guerra fra correnti interne potevano ancora paralizzare tutto, e forse lo avrebbero fatto se non ci fosse stata sullo sfondo la sferza di Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica aveva fatto chiaramente capire che chiudere la partita era urgente: il messaggio è arrivato forte e chiaro. Fumata bianca. Non è più vacante il seggio vuoto dal 2023 né i tre lasciati liberi a dicembre: la Consulta ha di nuovo il plenum. Ieri il Parlamento in seduta comune ha eletto Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Palazzo Chigi e padre della riforma sul premierato con 500 voti; Massimo Luciani, professore emerito di Diritto pubblico dell’Università la Sapienza di Roma (505 voti); Maria Alessandra Sandulli, ordinaria di Diritto amministrativo a Roma tre (502 voti); Roberto Cassinelli ex parlamentare e avvocato (503 voti).
Sui primi due non ci sono mai stati dubbi. Sceglierli spettava rispettivamente a FdI e al Pd: impossibili veti. Marini, architetto del premierato, protetto della premier, era blindatissimo sin dal primo momento. Considerato un ragazzo prodigio per aver ottenuto giovanissimo la cattedra, è figlio d’arte: il padre è il famoso giurista Annibale, presidente nel biennio 2005/06 della stessa Corte. Massimo Luciano, candidato dei democratici, è uno dei giuristi più universalmente stimati a sinistra, ma è anche tra quelli che più apertamente si è impegnato contro la destra. E ha già espresso un parere negativo sia sull’Autonomia che sul premierato. Per il governo sarà una spina nel fianco, e del resto il Pd e le opposizioni lo hanno indicato per questo.
Più problematica la nomina degli altri due giudici: uno, secondo gli accordi, doveva essere tecnico cioè in quota di nessuno, ma suggerito dalle opposizioni e gradito anche dalla maggioranza. La scelta è caduta su un’altra figlia d’arte, Maria Alessandra Sandulli: suo padre è il giurista Aldo, presidente della Corte dal 1968 al 1969. A sponsorizzarla è stato Giuseppe Conte e pare che il suo sfegatato tifo qualche dubbio in extremis tra i fratelli tricolori lo avesse creato. L’ha sostenuta con altrettanto vigore l’arcinemico del leader M5s, Matteo Renzi, che aveva cercato di portarla alla Consulta nel 2014. All’epoca pesò il ’no’ di Forza Italia, inviperita per le critiche che la giurista aveva rivolto anni prima alle riforme di Berlusconi fino a manifestare pubblicamente contro il Cavaliere. Alcuni dentro FI hanno storto il naso anche stavolta e persino nell’opposizione qualche mal di pancia di fronte a due rampolli di alto lignaggio costituzionale ci sarebbe stato. Ma tutto si è sciolto come neve al sole di fronte all’esigenza di uscire dalla palude e di non provocare le ire di Sergio Mattarella. La telefonata con cui mercoledì sera Giorgia Meloni ed Elly Schlein hanno siglato l’intesa è stata solo una conferma del pacchetto concordato il giorno prima. Sicuramente più complicato, per la premier, sarà il confronto con i vertici dell’Anm, fissato per martedì 5 marzo.
Il vero scoglio che ha tenuto in forse tutto fino all’ultimo era il giudice indicato da Forza Italia: nel partito azzurro è successo di tutto. Il primo nome, quello del viceministro della giustizia Francesco Paolo Sisto, è stato impallinato dalla premier: avrebbe lasciato vacante un seggio uninominale, quello di Andria, nel quale si sarebbe candidato, vincente sicuro il governatore uscente della Puglia Emiliano. "Niente parlamentari alla Consulta", il diktat. Al suo posto pareva dover subentrare Pierantonio Zanettin, ma ad affossarlo è stato Sisto; trattasi infatti di altro senatore, seppur eletto nel plurinominale in Veneto: "Vale la stessa regola". Era spuntata l’ipotesi di Andrea Di Porto ma convincere le opposizioni a portare l’ex avvocato di Berlusconi e Fininvest alla Consulta era un’impresa insormontabile. In realtà il candidato su cui Tajani puntava fin dall’inizio era Gennaro Terracciano, vicinissimo al capogruppo Barelli, molto legato al leader azzurro e in più amico di Gaetano Caputi, capo di gabinetto di Giorgia Meloni. La fronda interna, orchestrata dal senatore e presidente della Lazio Claudio Lotito, ha provveduto a impallinarlo impugnando un argomento incontrovertibile: il candidato deve essere un politico, non un tecnico.
Dal cilindro è uscito fuori così il nome di Roberto Cassinelli, già deputato e senatore di FI. La fine è nota: l’ordine dei nomi sulla scheda cambia secondo i gruppi, per dare traccia del voto. Tutto fila liscio e il presidente del Senato, Ignazio La Russa, esulta: "Un passo sulla strada del dialogo". Vista la paralisi nella quale versa da tempo immemorabile la Rai, si direbbe un po’ troppo ottimista.