Roma, 15 giugno 2023 – Per Giorgia Meloni oggi il problema numero uno è salvare Forza Italia. Non è detto che sarà così per sempre, lei per prima sa che le possibilità di una lunga vita per il partito di Silvio senza Silvio sono ridotte all’osso ma è storia di domani. Ora si tratta di impedire la deflagrazione del polo moderato della sua coalizione. Per farlo ha quattro interlocutori privilegiati – in ottimi rapporti tra loro – ognuno con il suo ruolo, ma non tutti della stessa importanza. Al primo posto c’è Marina Berlusconi. FI era una monarchia, la sola a poter ereditare la corona era lei. Non è un caso che un sondaggio la indichi come la leader di gran lunga preferita dagli elettori azzurri. Alla premier andrebbe benissimo: la continuità sarebbe garantita.
Peccato che lei non ci pensi, il problema se l’è posto e ha scelto di non seguire le orme paterne. Leader no, ma proprietaria sì. Forza Italia è un partito personale, e la sua proprietà passa direttamente dal fondatore agli eredi. E, tra gli eredi, c’è soprattutto la primogenita. L’azienda ha sempre avuto voce in capitolo nelle scelte di Berlusconi, una voce adesso ancor più stentorea dal momento che senza il sostegno finanziario della famiglia, senza cioè i soldi del Cavaliere, il partito chiuderebbe i battenti. La famiglia su questo fronte è stata sempre tiepida, qualcosa potrebbe cambiare quando verrà letto il testamento di Silvio dove molti si aspettano indicazioni precise. Diversi dirigenti sono pronti a giurare che i figli non molleranno FI: alla fine l’ultima parola sarà di Marina e Pier Silvio. Con loro sta già trattando Giorgia che qualche strumento da mettere in campo ce l’ha: di un governo amico Mediaset ha sempre avuto, e probabilmente avrà ancora, bisogno. Per dire: Giovanni Donzelli, uomo a lei vicino, assicura che in caso di scalata ostile dei francesi Vivendi su Mediaset l’esecutivo è pronto ad usare la golden power.
Fondamentale per queste trattative è Gianni Letta, l’eterno gran ciambellano, governista per vocazione. Tornato in auge dopo essere stato per un po’ in ombra proprio perché considerato troppo ’draghiano’, si sta dando molto da fare sia per evitare la guerra per bande che minaccia di squassare quel che resta del regno di Berlusconi e per facilitare i rapporti tra Palazzo Chigi e Arcore. Antonio Tajani, il terzo interlocutore, è fondamentale per la presidente del Consiglio che vuole una Forza Italia fedele. Chi, dunque, per lei sarebbe meglio (a fronte del rifiuto di Marina) come capo di FI del suo vicepremier, colonna di quel Ppe con cui si vorrebbe alleare a Bruxelles? Ma a torto o a ragione quasi nessuno scommetterebbe sulla capacità del ministro degli Esteri di tenere a bada il serraglio azzurro. Tanto più che gli avversari interni potrebbero decidere di contestare quel ruolo di coordinatore che svolge sulla base di una delibera dell’ufficio di presidenza ma che non esiste nello statuto del partito. Il quale, invece, concede l’uso del simbolo al tesoriere, l’ex senatore Alfredo Messina, nominato dal presidente scomparso. Altri nodi da sciogliere, ma a tempo debito, magari con un congresso. Nelle ore del dolore, infatti, nessuno si azzarda a mettere in dubbio la permanenza di Tajani al vertice.
La quarta carta è un’incognita. All’inizio della carriera parlamentare, Marta Fascina non si era fatta notare. Come compagna di Berlusconi, però, ha dimostrato un piglio insospettato e una fermezza notevole nel trattare la minoranza che fa capo a Ronzulli, e Mulè. Il problema è che nessuno sa se il suo potere derivasse dalla vicinanza al Cavaliere, molti erano convinti che la sua stella sarebbe tramontata con lui: non è affatto detto che sia così. Si è conquistata la fiducia della famiglia: ieri tutti gli occhi erano puntati sulla disposizione dei posti nel Duomo, cosa che capita solo a Buckingham Palace e alla corte di Arcore. Marta, la quasi vedova, era seduta al fianco di Marina, con cui ha accompagnato, mano nella mano, il feretro nella cattedrale. Negli organigrammi fantasiosi che fioriscono in questi giorni viene considerata custode della memoria collettiva berlusconiana. C’è il caso che si riveli una presenza molto più incisiva di così, e per Giorgia Meloni potrebbe essere una carta vincente.