Roma, 25 settembre 2019 - Eccolo lì, il Toninelli di turno. Calenda lo dice apertamente, ma lo trattano tutti così. Lorenzo Fioramonti, già punta di diamante della squadra di ministri presentata da Di Maio alla vigilia delle elezioni del 2018 (era candidato allo Sviluppo economico in un ipotetico monocolore pentastellato), rischia di passare per il gaffeur dell’attuale governo. L’uomo dalle proposte assurde, inaccettabili, ridicole. In realtà, la biografia del titolare del dicastero dell’Istruzione non corrisponde a questa immagine: laureato in Filosofia all’università di Tor Vergata a Roma, nel suo curriculum vanta un dottorato in politica comparata ed europea a Siena e una cattedra di economia politica a Pretoria, in Sudafrica. Né finisce qui, perché "l’ex cervello in fuga" come si è definito lui (classe 1977) è direttore del Centro per lo studio dell’innovazione Governance nello stesso ateneo e membro del Center for Social Investment dell’Università di Heidelberg, della Hertie School of Governance e dell’Università delle Nazioni Unite.
Certo: i percorsi accademici sono una cosa, la prova del fuoco del governo tutt’altro. La strada che conduce a Palazzo Chigi è lastricata di ‘bravi’ tecnici bruciati dall’esperienza. Anche in questo caso, però, si potrebbe trovare qualche difficoltà a definire bizzarre le proposte di Fioramonti, se solo si tentasse di inserirle nel quadro di quello che è stato fino all’altro ieri l’impianto ideologico e strategico di M5s.
L’idea dello sciopero ecologico giustificato dal ministro suona in effetti stravagante, tanto da suscitare frizzi e lazzi oltre a una montagna di proteste tra gli addetti ai lavori. Appare meno bislacca se si tiene conto che la protesta contro i cambiamenti climatici va nella direzione a cui Fioramonti ha dedicato la vita, e che costituiva forse il principale bastione ideologico del Movimento delle origini: un modello di sviluppo sostenibile. Quello di cui si è appena discusso anche all’assemblea generale dell’Onu. Inevitabile, dunque, che la suggestione strappi un metaforico abbraccio da quel Di Maio ("Fioramonti ha fatto bene") che aveva duramente ripreso il suo pupillo quando aveva lanciato l’idea di una tassa su merendine e voli. Vero è che balzelli del genere sembrano uscire direttamente da Topolino, partoriti dal sindaco di Paperopoli, pronto a tassare persino ghiaccioli e aranciate per sfilare dollari a quel taccagnaccio di Paperon de’ Paperoni.
Anche in questo caso, però, bisogna grattare sotto la superficie di un’uscita fuori dalle righe (anche quelle tracciate dal governo giallo-rosso) per trovare una base razionale a ciò che non sembra averne. Il premier Conte e i suoi boys sono alla ricerca di soldi per la prossima legge di bilancio. C’è fame di denaro: lo stesso ministro dell’Istruzione batte cassa, vuole 2 miliardi per la scuola e un miliardo per l’Università, "altrimenti mi dimetto". Qual è la trovata? Invece di recuperare risorse qui e là, come si fa di solito, rispolverando tagli alla bell’e meglio o imposte sulla casa, si usa la leva fiscale anche per indirizzare il corso dell’economia. Hai un’alimentazione sbagliata? Scegli per muoverti un mezzo che inquina? Lo Stato ti colpisce nei punti deboli per finanziare attività utili, promuovere stili di vita sani, incentivare l’uso di mezzi più ‘green’ degli aeroplani. Regole, peraltro, già in voga in molti paesi europei e non solo.
A ben vedere, il problema di Fioramonti è che il suo tentativo di rigida coerenza con certi credo grillini risulta davvero un po’ fuori dal mondo in un Movimento in fase di impetuosa e avanzata trasformazione in qualcosa di molto diverso da ciò che è stato fino allo scorso anno. A conti fatti, il ministro dell’Istruzione sembra l’ultimo giapponese rimasto nella giungla, che si rifiuta di credere che la guerra è finita e di posare le armi.