Sabato 27 Luglio 2024
COSIMO ROSSI
Politica

Finanziamenti alla politica, l’ultimo tesoriere Pci: "Abolirli fu una scelta dissennata. I partiti sono cruciali”

Ugo Sposetti tenne i cordoni della borsa comunista, poi di Pds, Ds e Pd: "Il caso ligure fa tornare la questione attuale? Ma non c’entra con il malaffare"

Roma, 18 maggio 2024 – Tra gli effetti collaterali dell’inchiesta di Genova che ha portato agli arresti domiciliari del governatore ligure Giovanni Toti con l’accusa di corruzione c’è la riapertura del tema del finanziamento pubblico alla politica. Alle parole con cui il vicepremier e leader azzurro Antonio Tajani ha giudicato “un errore” l’abolizione dei rimborsi, ieri hanno fatto seguito quelle del ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo: “Le soluzioni trovate finora sono state affrettate – ha detto – Finanziare l’attività dei partiti significa dare a chiunque la possibilità di impegnarsi in politica”.

Dal fronte dem è la deputata Chiara Gribaudo a chiedere che "si torni al finanziamento pubblico ai partiti perché la democrazia ha un costo”. Anche il vice-capogruppo alla Camera di FdI, Manlio Messina, dice “sì al ritorno al finanziamento pubblico dei partiti eliminando però quello privato”. I partiti interessati a ripristinare le erogazioni sono Pd, FI, Lega e Avs. Ma anche il partito della premier sarebbe orientato ad aprire. Fermamente contrari, invece, radicali, renziani e M5s.

Ugo Sposetti, classe 1947, dirigente, senatore e deputato dal Pci al Pd. Lei da tesoriere che nelle temperie anti-politiche degli anni 2000 ha sempre difeso la funzione democratica e il finanziamento della politica anche in contrasto col suo stesso partito, cosa pensa del fatto che si torna a parlare di finanziamento pubblico ai partiti sull’onda delle vicende liguri?

Ugo Sposetti, 77 anni
Ugo Sposetti, 77 anni

"Non confondiamo le cose. Il finanziamento pubblico non c’entra niente col caso Liguria o altro. Questa è una distorsione che fanno i media".

La questione però è tornata di attualità proprio in queste ore anche in seguito a quelle vicende, con esponenti di maggioranza e opposizioni che riprendono a parlarne…

"Quando si parla di finanziamento pubblico si parla di decisioni che riguardano le costituzioni di Germania e Italia. Nel secondo dopoguerra, in Germania sotto la vigilanza statunitense e da noi ad opera della Costituente, sono state approvate due Carte che contengono due articoli che disciplinano la vita dei partiti. La nostra Costituzione affida una funzione pubblica primaria ai partiti, ma a quell’articolo 49 non abbiamo mai dato esito. La Germania invece lo ha fatto per l’articolo analogo, stabilendo a metà anni ‘50 norme di finanziamento alla politica e destinandovi risorse".

Sui costi della politica gli italiani sono sempre divisi a metà: circa un cittadino su due non si fida dei partiti…

"È sempre colpa dei partiti... Se la democrazia è un valore, ha bisogno di vivere attraverso soggetti, luoghi, istituzioni. Non possiamo vederla come un costo, ma come un bene pubblico assoluto. Bisogna porsi il problema di chi, dove e come forma le classi dirigenti. Per rispondere a queste domande dobbiamo agire di conseguenza. In Italia abbiamo tentato in più occasioni di distribuire risorse, ma sempre con difficoltà. Prima ci sono stati i referendum radicali, poi Grillo e il M5s. L’allora premier Enrico Letta pensò di poter porre un freno all’avanzata dei 5 stelle togliendo i rimborsi elettorali. Un’idiozia. Una valutazione demente".

Testuale?

"Ringrazio per la premura. Confermo quel che ho detto. Si consideri che, mentre il governo italiano tagliava i rimborsi, il Parlamento europeo svolgeva consultazioni tra i 27 Paesi sul regolamento che destina risorse ai partiti rappresentati in aula e le loro fondazioni. E tutti i Paesi, Italia compresa, hanno approvato. Perché al Parlamento europeo sì e in quello italiano no? E non mi risulta che in questa campagna elettorale qualcuno si stia sognando di obiettare".

Quindi come si dovrebbe intervenire in Italia secondo lei?

"Si potrebbero fare due cose semplicissime. La prima è equiparare la norma del 2 per mille alle modalità che si utilizzano per l’8 per mille. C’è un fondo, ma non tutto viene utilizzato, perché molti contribuenti non indicano nessun partito. Si potrebbe distribuire il cosiddetto inoptato come avviene per l’8 per mille, che viene redistribuito in modo proporzionale a come si sono pronunciati i contribuenti sulle confessioni religiose. La seconda cosa, molto più semplice, è prendere il regolamento del Parlamento europeo e trasferirlo pari pari nella legislazione italiana. Io lo avevo proposto nel 2014, quando si discusse il decreto di Letta".