Roma, 16 marzo 2019 - L'intesa con la Cina si firma, nonostante tutto. Nonostante rimangano intatti i dubbi pubblici di Salvini, che evidentemente deve fare i conti con un mondo padano non particolarmente felice dell’invasione gialla al pari del presidente americano Trump. Ieri mattina nel vertice a Palazzo Chigi Conte, i due vicepremier assieme ai ministri Tria, Moavero e a Giorgetti hanno di nuovo sviscerato la questione: oramai questi incontri per sbrogliare le matasse si ripetono in continuazione, a segnalare la difficoltà di intendersi su tante cose tra i partner. Ieri era la Tav, oggi il rapporto con Pechino, domani saranno gli F35. Dossier altrettanto spinoso, sul quale si registra l’ennesimo scontro: protagonisti la titolare della Difesa e il leader del Carroccio, entrambi determinati a far sentire il proprio peso sulla vicenda.
Nell’attesa di un chiarimento nei prossimi giorni, quello sulla Cina è stato un summit vivace, con il leader leghista che protesta per essere stato tenuto all’oscuro della trattativa, condotta dall’alleato pentastellato nelle stanze del Mise. «Questo metodo non funziona: serve condivisione». Qualcuno attribuisce perplessità simili anche al titolare della Farnesina, altri sostengono il contrario: di sicuro, quando tutto è compiuto, incontra l’ambasciatore americano Eisenberg per fare il punto della situazione. Conte cerca di rassicurare Carroccio e Usa sul documento che il 23 verrà firmato da Di Maio e dal presidente Xi Jinping. «Non si prevede alcun impegno legale: è solo una grande opportunità». I problemi, per i leghisti, non scaturiscono tanto da questo «contenitore generico», bensì dagli accordi che poi dovranno attuare quanto previsto in settori strategici come le infrastrutture, i porti e soprattutto le telecomunicazioni. «La sicurezza nazionale viene prima di tutto», scandisce Salvini. In ballo non ci sono «asset strategici» replica il premier: «Noi comunque rafforzeremo la golden power», tema sul quale l’attenzione di Washington è altissima. Per placare le preoccupazione dei partner Ue, il governo sarebbe pronto a valutare – come scrive il Financial Times – l’accensione di prestiti con la Banca degli investimenti cinesi per le infrastrutture (Aiib), istituto che opera secondo gli standard internazionali. Conte e Di Maio sono netti: questa intesa è una chance per riequilibrare la bilancia commerciale e porta investimenti nel Paese. Tra i pentastellati c’è chi stuzzica l’alleato leghista: «Da capire se scoraggia l’intesa per far guadagnare qualche controparte straniere». Ma Di Maio rilancia: «L’America resta il nostro partner principale; Trump disse ‘America first’, io dico l’Italia viene prima». E fosse questo l’unico tema in discussione: resta sullo sfondo l’altra questione che complica i rapporti con gli Stati Uniti: gli F35. «Non c’è nessuno scambio con la Lega rispetto l’okay al memorandum», scandisce Di Maio nelle stesse ore in cui Salvini insiste: «L’Italia non può restare indietro sul programma». Un diktat che infastidisce il ministro della Difesa Trenta: «Il dossier è in mano a Conte: chiediamo il rispetto dei ruoli e meno confusione», dicono dalle sue parti dove spiegano che fino al 2022 il paese porterà avanti gli acquisti (28) previsti dai precedenti governi inutile far entrare in campagna elettorale una questione che si porrà fra tre anni. A giugno, però, il governo dovrà dare indicazioni sul futuro: la Trenta e i pentastellati vorrebbero rivedere il programma diminuendo il numero dei velivoli. Di tutt’altro avviso la Lega: «A noi interessa il bene degli italiani». La partita è aperta: magari se ne parlerà la prossima settimana, nel summit che di solito precede il consiglio dei ministri.