Lunedì 1 Luglio 2024
SIMONE ARMINIO
Politica

La strana coppia Letta e Meloni, nemici-amici e l’ipotesi di ritrovarsi in Europa

Crescono le quotazioni dell’ex segretario dem per la presidenza del Consiglio europeo. Meno radicale e più atlantista del portoghese Costa, su di lui la premier potrebbe non opporsi

Roma, 22 giugno 2024 – Enrico Letta presidente del Consiglio Europeo, perché no. In fondo il nome dell’ex premier italiano ed ex segretario del Pd potrebbe quasi far comodo anche alla premier Giorgia Meloni. Tanto più che i due, avversari politici agli antipodi, in realtà nella vita si stimano e si rispettano. Chi non ricorda i confronti elettorali alle politiche del 2022 a colpi di fioretto, conditi da sorrisi, battute, risate e convenevoli prima e dopo il dibattito?

La loro frequentazione, d’altronde, è antica. Qualcuno la fa risalire addirittura a metà anni Novanta, all’ombra di un palazzone bianco dall’ampio portone ad arco, lo stile ovviamente razionalista. Piazza Sant’Andrea della Valle numero 6. Lì hanno sede sia Arel, l’agenzia di ricerche e legislazione fondata da Nino Andreatta, mentore di Letta, sia la rivista conservatrice Ideazione, attorno a cui gravita invece una giovane Meloni. I due, narra chi c’era, si incrociavano spesso e – fatte le dovute differenze di vedute – simpatizzavano.

Un’amicizia tornata in auge molti anni dopo, a marzo del 2021, quando Letta, richiamato in trincea dalle dimissioni da segretario Pd Nicola Zingaretti, si ritrova contro l’astro nascente Meloni. I due litigano sul ddl Zan ma si trovano d’accordo su un’idea di rinnovato bipolarismo. Qualche mese dopo, sarà prima Meloni a stupire i suoi invitando l’avversario sul palco di Atreju, poi Letta a scioccare il Nazareno accettando l’invito. "Siamo diversi, ma si può parlare", fu il leit motiv . E c’è chi dice che non sia cambiato.

Non basta, certo, per romanzare su un accordo in chiave europea. E difatti non è la premier italiana a fare il nome del suo predecessore a Palazzo Chigi come possibile presidente del Consiglio Europeo. Sono i francesi e i tedeschi a pronunciarlo insistentemente. Però a Roma l’ex avversario politico potrebbe far più comodo di un Mario Draghi: mai digerito e soprattutto più in grado di fare ombra al governo.

Ma Letta sarebbe pure più gradito, nel Ppe e tra i conservatori europei, di un progressista spinto come l’ex premier portoghese Antonio Costa, con le sue idee sull’accoglienza dei migranti e le sue freddezze sull’appoggio all’Ucraina. Ad oggi Costa va nettamente per la maggiore, perché, se il nome della presidenza della Commissione rimane appunto quello della belga uscente, area Ppe, Ursula von der Leyen, allora quello della presidenza del Consiglio europea dovrebbe andare a S&D. Perlomeno per un po’, visto che i Popolari premono per ottenere una staffetta. Dunque: l’ex presidente del Consiglio italiano, chiamato in causa proprio da von der Leyen per realizzare un (poi molto apprezzato) dossier sul futuro del mercato unico, potrebbe essere la giusta soluzione.

Lui, il diretto interessato, da giorni rispedisce al mittente con garbo e fermezza tutte le telefonate dall’Italia. Lo fa anche con Qn. Però è un dato che nel frattempo abbia deciso di non correre per un secondo mandato alla guida dell’università parigina Sciences Po. "Ha comunque degli incarichi lì, per lui non cambia nulla", si affretta a sottolineare un politico a lui molto vicino. E però, però: i rumors sul nome di Letta in queste ore sarebbero ben più di una fascinazione. Tanto più che la sua candidatura non nascerebbe in Italia. Lo nominerebbero, spesso e volentieri, francesi, belgi e tedeschi come piano B, anzi A2, in caso permangano le resistenze su Costa.

Ed ecco, a quel punto, altre frecce nell’arco di Letta: atlantista convinto, vicino alle posizioni della Nato (il suo nome era circolato insistentemente anche tra i papabili alla guida dell’Alleanza atlantica) è stato e rimane un convinto sostenitore degli aiuti militari all’Ucraina. Tant’è che il suo ultimo atto da segretario dem, il 25 febbraio 2023, era stata proprio una visita all’ambasciata ucraina. Simbolica la frase battuta dalle agenzie: "È questa l’eredità che lascio al Pd". Poi più nulla, fino a qualche giorno fa.