Roma, 4 marzo 2024 – All’Abruzzo, di trovarsi tanto sotto i riflettori era successo negli ultimi vent’anni solo per un’occasione infausta come il terremoto. Ma l’attenzione quasi parossistica per il voto di domenica si può capire: nella regione il posto di presidente se lo giocano solo Marco Marsilio, il governatore uscente meloniano doc. E il suo sfidante, Luciano D’Amico. A conti fatti, però, i leader nazionali si giocano molto di più: di qui il grande traffico in questo periodo di ministri, capi partito, nonché la reunion odierna a Pescara a metà pomeriggio di Meloni, Salvini, Tajani, Lupi, Cesa per tirare la volata al governatore uscente.
E pensare che per la maggioranza doveva essere una prova di modesto rilievo e, oltretutto, vinta in partenza. Sì, perché i primi sondaggi davano Marsilio in vantaggio di una ventina di punti: piano piano, però, lo scarto si è assottigliato, diventando di poche misure. Parallelamente è calata la sicurezza del centrodestra, ma il vero panico a Palazzo Chigi e dintorni si è diffuso dopo la sconfitta in Sardegna. La prima battuta d’arresto può essere un caso, la seconda – consecutiva per di più – rivelerebbe una tendenza, e il rischio slavina è dietro l’angolo. Ne è consapevole Giorgia Meloni che ha aggiunto Teramo (in programma un incontro alla Camera di commercio) all’evento odierno, proprio per ampliare il battage pubblicitario in un territorio considerato una roccaforte di FdI. La seconda sconfitta di un suo candidato sarebbe un segnale catastrofico. Pessimo viatico per il voto di aprile in Basilicata e, soprattutto, per le Europee di giugno. Ragion per cui ha giocato una carta ’berlusconiana’ in zona Cesarini, promettendo i fondi per la tanto agognata ferrovia. Sia ben chiaro: anche Tajani e Salvini si giocano molto. "Conto che il centrodestra vinca e la Lega abbia un risultato a due cifre", dice il Capitano. C’è chi sospetta possa fare il doppio gioco, cerchi cioè di indebolire la premier. Bisogna però considerare che l’Abruzzo non è la Sardegna, qui non c’è il voto disgiunto. E, in secondo luogo, Salvini deve fare i conti con le fibrillazioni nel suo partito.
Se Atene piange, Sparta non ride. Anche nel centrosinistra la posta in palio è alta. Questo voto è la prova del nove per il campo largo, anzi larghissimo: da Fratoianni a Calenda, passando per Renzi. Il responso delle urne dirà se è un’alleanza davvero vincente, oppure se l’exploit sardo è frutto di una serie di fortunate coincidenze. Lo sa bene Elly Schlein, che si vede spesso da queste parti. E lo sa pure Conte: per lui la partita è diventata quasi una questione di vita o di morte. Tanto che si è trasferito per qualche giorno in Abruzzo, battendo palmo a palmo la regione in un tour (terminato ieri sera) che gli fatto registrare "un grande e crescente entusiasmo intorno a D’Amico". L’obiettivo? Dimostrare che con lui in campo si vince, e dunque il Pd non è la forza egemone dell’alleanza. Che il centrosinistra può battere la destra o perché i candidati li sceglie lui, o perché come D’Amico sono indipendenti, benché d’area. Non casualmente, tornerà in Abruzzo prima del voto. Peraltro, proprio in queste ore, sono venute fuori le crepe della sinistra in politica estera. Ieri alla Camera c’è stato il primo via libera in Commissione alla missione Mar Rosso. Il Pd ha votato a favore, mentre M5s si è astenuto. E non ha fatto nulla per nascondere la divisione: non è un mistero che alle Europee Conte punti ad accaparrarsi il voto dei pacifisti. E dunque: una sfida nella grande sfida.
Da notare che mentre tutti i leader del centrodestra saranno oggi insieme sullo stesso palco, quelli del centrosinistra non si incrociano mai: la scelta ha portato bene con Alessandra Todde (che chiuderà l’8 la campagna di D’Amico) meglio non cambiare, dicono da queste parti. Politica o scaramanzia?
Clicca qui se vuoi iscriverti al canale WhatsApp di Qn