Roma, 30 ottobre 2024 – Non c’è problema. In realtà, quando si passa dal 26,7% delle Europee al 15% un problemino sembrerebbe esserci. Ma ai piani alti di FdI scelgono di ignorarlo: un po’ perché in Liguria è andata bene e chi l’avrebbe mai detto un mese fa, un po’ perché con il voto in Umbria e in Emilia-Romagna dietro l’angolo non si può perdere tempo ad analizzare e ragionare. Un po’, anzi, molto perché la carta vincente – la candidatura di Marco Bucci – l’ha indovinata Giorgia Meloni, e non è esagerato dire che il successo si deve a quella trovata: resta un modello da esportare. “Proseguiamo in questa direzione”, scrive sui social.
Le giustificazioni e le spiegazioni, non infondate ma neppure esaustive, sono prevedibili: “Non vedo flessioni – sottolinea la sorella Arianna, responsabile della segreteria politica – c’è da dire che c’erano liste civiche molto forti”. Ma a Lega e Forza Italia non hanno sottratto consensi. Poi c’è il nodo della classe dirigente non validissima, riconosce qualcuno. Ma non è che nel 2022 fosse più portentosa. Per non parlare della sconfitta nei capoluoghi, con l’eccezione di Imperia. Dolorosissima soprattutto a Genova, dove si tornerà a votare in primavera per il sindaco: in pole position per la successione a Bucci c’è il suo vice, Pietro Piciocchi. “Dovremo lavorare parecchio per recuperare consensi”, ammette il forzista Roberto Bagnasco. Insomma, quello che nessuno prende in considerazione è che FdI paghi un po’ in Liguria la politica nazionale. Al contrario: “Questo successo dimostra quanto i cittadini apprezzino il governo”, riassume gli umori il capo dei deputati, Tommaso Foti.
È comprensibile: la controprova arriverà nelle elezioni in Umbria e in Emilia-Romagna. In quest’ultima regione non è importante solo la vittoria che pare ipotecata dal Pd, ma anche il voto di lista: ragionamento che vale pure per Forza Italia e Lega. Gli occhi dei leader sono puntati sull’Umbria: la remuntada del centrosinistra sulla governatrice leghista, Donatella Tesei, sembra essersi arrestata e la vittoria in due regioni su tre per il centrodestra non è più un’utopia. “Partita finisce, quando arbitro fischia”, mette le mani avanti il portavoce di FI, Raffaele Nevi, citando una massima dell’allenatore Vujadin Boskov.
Ma per quanto importanti, le regionali del 17 e 18 novembre non sono l’unica priorità e, forse, nemmeno quella principale: il governo ha deciso di accelerare sulla separazione delle carriere. L’obiettivo, condiviso in un vertice di maggioranza presieduto dal guardasigilli Carlo Nordio, è avere il primo sì alla Camera a dicembre. Ciò significa che questa legge costituzionale potrebbe approdare in aula prima del premierato. Nessuno stupore: Giorgia ha cambiato tavolo a metà partita. Perchè? In parte c’entra il conflitto con la magistratura, poi il fatto che questo referendum è più facile da combattere anche perché non tira direttamente in mezzo il capo dello Stato essendo chiaro che ‘l’attentato’ a Sergio Mattarella sarà il cavallo di battaglia dell’opposizione in campagna elettorale. Ma forse il segreto sta nella legge elettorale, lo ammette la stessa premier: “Vorrei il dialogo con la minoranza, ma la vedo dura”, confida a Bruno Vespa.
La versione però è edulcorata. In Italia fare la riforma elettorale è sempre complicato, è altrettanto vero però che per il centrodestra una legge più vantaggiosa di quella vigente ancora non l’ha trovata nessuno. E finché non succede, meglio andare avanti con questa.