Roma, 12 gennaio 2024 – Giovanni Toti, governatore ligure da due mandati, siamo al centro di un vero e proprio tsunami sulle regionali e sul terzo mandato dei governatori uscenti. Lei che ne pensa?
"Che l’Italia, dove i parlamentari della Prima e nella Seconda Repubblica hanno avuto incarichi lunghissimi, in tutta franchezza che governatori e sindaci debbano sottostare a questo vincolo di soli due mandati lo trovo francamente incoerente dal punto di vista politico e penso anche che l’attuale situazione normativa ovviamente aprirà il campo a una serie infinita di interpretazioni e anche eventualmente di ricorsi. Come noto il Veneto sta già facendo il suo terzo mandato avendo recepito le leggi nazionali nel primo mandato, lo stesso vale per la Liguria, ma insomma stiamo creando una babele degna di miglior causa. Il Parlamento si occupi della questione lasciando però l’ultima parola agli elettori".
La Sardegna è diventata un problema di equilibrio interno alla maggioranza…
"Credo sia molto pericoloso immaginare da Roma, con ingegneria genetica, riequilibri nelle coalizioni basate sulle elezioni territoriali perché il voto europeo e nazionale differisce di molto da quello locale. I movimenti civici che fanno capo a governatori e sindaci fanno la differenza, mentre sono inesistenti a livello nazionale, quindi immaginare con il pantografo che le percentuali di voto per il Parlamento nazionale e per quello europeo siano le stesse che i cittadini esprimeranno alle amministrative o regionali è qualche cosa che non sta nell realtà. La lista Toti, la lista Fedriga, ma lo stesso potremmo dire quelle di Emiliano in Puglia hanno fatto la differenza. Quindi tentare di riequilibrare le situazioni sulle percentuali politiche romane è sempre rischioso: il principio cardine dovrebbe essere che un sindaco o un governatore che si vogliono ricandidare dovrebbero avere la possibilità di portare a termine il loro compito, a meno che non ci siano questioni importanti, ma se ragionano per principi, il voto nazionale non è unità di misura per i territori e se si deve cambiare lo si deve fare per ragioni territoriali, non per equilibri nazionali".
Meloni sbaglia a tenere duro sul cambio di Solinas per conquistare la Sardegna?
"Ma non credo che sia questo l’intento, la Sardegna ha avuto diverse fibrillazioni, in quella regione ci sono diversi temi locali da affrontare, ma visto dalla Liguria è difficile avere il quadro esatto e giudicare, a me stanno a cuore i principi e io credo che sarebbe giusto che in Sardegna fossero i dirigenti sardi a indicare quale sarebbe la posizione migliore da prendere".
Si troverà un punto di caduta nella maggioranza?
"Si troverà, si è sempre trovato come in Sicilia, in Sardegna, non so con quale esito, sarebbe miope per il centrodestra invertire la narrazione di coalizione vincente che l’ha portato al governo, dovrà essere una posizione unitaria, ma sarebbe bene che fossero i vertici locali a scegliere: nessuna regione è scontata, neppure la più certa".
Le Europee banco nei prova di tenuta della maggioranza?
"Mi auguro esca un voto che rafforzi la maggioranza e la presidenza del Consiglio. È interesse del Paese, siamo all’alba della legislatura, veder messo in discussione da elezioni che nulla c’entrano sul governo nazionale sarebbe un errore, è un’elezione proporzionale pura, è ragionevole aspettarsi che qualche contraccolpo ci sia, ma avrà caratteristiche credo fisiologiche, senza che nessuno pensi di spaccare il campo su cui si gioca".
La vita del governo non sarà facile prossimamente…
"Attenzione ai conti, le guerre, un futuro economico complesso. Non sarà facile. Ma il governo tiene bene e non potrà essere messo in discussione da un unico risultato elettorale".
Riuscirà il centrodestra a strappare alla sinistra le regioni storicamente rosse?
"Se troverà, unitariamente, candidati capaci di avere uno ‘standing’ adeguato, ma si dovrà fare breccia nelle aree civiche che fanno di solito la differenza e non sarà un lavoro semplice, ma di costruzione che dovrà essere fatto, anche questo, unitariamente".