Pescara, 7 marzo 2024 – Sarà probabilmente l’affluenza a decretare il risultato delle elezioni regionali in Abruzzo di domenica prossima, 11 marzo. La capacità di motivare e mobilitare qualche unità di quel 47% di elettori che nel 2019 hanno disertato le urne potrebbe infatti apportare il surplus necessario per vincere la sfida schiettamente bipolare tra il governatore uscente di centrodestra, Marco Marsilio, e l’ex rettore dell’ateneo teramano, Luciano D’Amico, indipendente di centrosinistra in orbita dem.
La sfida abruzzese non potrebbe esser più netta e binaria. Il presidente Marsilio – 56 anni, romano di padre abruzzese, ex parlamentare e esponente di lungo corso di Fratelli d’Italia, sin dalla militanza liceale missina negli anni ‘80 – è sostenuto da sei liste che rispecchiano la maggioranza di governo: FdI, Lega, Forza Italia, Noi Moderati, UdC e Dc con Rotondi, più la civica Marsilio Presidente. Lo sfidante D’Amico – 64enne della provincia di Chieti, ordinario di economia aziendale all’università di Teramo, di cui è stato rettore, incaricato in veste di economista del risanamento delle aziende di trasporto pubblico regionale – guida un fronte di sei liste che riunisce tutte le forze e i campi dell’opposizione sotto le insegne del Patto per l’Abruzzo: Pd, M5s, Azione, Avs con Democrazia Solidale, Italia Viva con Psi e +Europa, più la civica Abruzzo Insieme.
Confortato dal fatto che in Abruzzo non è possibile il voto disgiunto, il centrodestra ostenta una certa sicurezza sulla conferma del governatore uscente, a sostegno del quale martedì sono arrivati i leader nazionali come già fatto con poca fortuna per Paolo Truzzu in Sardegna. E proprio sul vento sardo confida invece il centrosinistra, augurandosi che la vittoria d’un soffio di Alessandra Todde mobilizzi benpiù che sull’isola il fronte della rassegnazione verso le urne.
Stando all’ultimo sondaggio Winpoll diramato due giorni prima (23 febbraio) del blackout imposto nei 15 giorni precedenti il voto, la forbice si sarebbe infatti ristretta a un solo punto di divario: 51,4% a 49,6% in favore del presidente uscente. Anche se da altri rilevamenti di febbraio Marsilio risultava in vantaggio di circa 5 punti (51-55% a 45-49%), con FdI che ruotava intorno al 30%, il Pd al 20, i 5stelle al 15, Fi al 9, la Lega al 7, Avs e Azione al 4. Ma anche con un terzo degli elettori ancora indecisi sulla scelta. Tra i capoluoghi, l’Aquila e Pescara son amministrati dal centrodestra, mentre Teramo e Chieti dal centrosinistra. La destra risulterebbe comunque più forte nelle aree interne, rispetto alla sinistra che ha maggiori consensi sulla costa.
Cinque anni fa Marsilio ha vinto col 48% sull’indipendente di centrosinistra Giovanni Legnini al 31% e la pentastellata Sara Marcozzi al 20. Affluenza al minimo del 53%. Anche nel 2014, quando ha vinto il dem Luciano D’Alfonso col 46% sull’uscente azzurro Giovanni Chiodi al 29%, l’esponente dei 5stelle aveva ottenuto il 20%: a dimostrazione di un insediamento abbastanza stabile del partito di Giuseppe Conte.
Che alle politiche del 2022 si è piazzato col 18,5%, secondo solo al 27,9 di FdI e davanti al 16,6 del Pd. Nel frattempo però Marcozzi ha lasciato il movimento, prima per andare con Luigi Di Maio e poi, dal luglio scorso, per entrare in FI. Non è un caso che Conte abbia battuto in lungo e in largo l’Abruzzo per confermare il consenso a prescindere dell’apporto personale che poteva portare Marcozzi.
Data la volubilità dell’elettorato pentastellato, la capacità o meno di confermarsi da parte di Conte è considerata dirimente da parte degli alleati dem. Ma prima ancora viene il tema della partecipazione al voto. Da quando, col nuovo millennio, è iniziata la crisi dell’affluenza, il centrosinistra ha sempre beneficiato della maggiore affluenza: nel 2005 con Ottaviano Del Turco (68%) e nel 2014 con Luciano D’Alfonso (61%), rispetto al 2008 in cui il centrodestra ha vinto con Givanni Chiodi (53%) e il 2019 con Marsilio (53%).