Roma, 6 settembre 2023 – La lista per approdare a Bruxelles è già molto nutrita nonostante manchino ancora parecchi mesi all’appuntamento che potrebbe ribaltare gli assetti politici dell’Europa, ma insieme alle candidature vere (come quella di Matteo Renzi) fioccano anche le auto-candidature e i nomi buttati in pasto alle cronache per "bruciare" figure non gradite ai partiti più che agli elettori.
Nel Pd svettano – per ora – i nomi di quattro amministratori locali, ovvero i sindaci di Bari, Bergamo e Firenze, Antonio Decaro, Giorgio Gori e Dario Nardella a cui si aggiunge il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Dovrebbe ricandidarsi Paolo De Castro, già presidente della commissione Agricoltura all’Europarlamento e riferimento per la Coldiretti, ma anche Alessandra Moretti e Elisabetta Gualmini, sempre nelle file bonacciniane, e Renzo Lusetti, in quota Dario Franceschini. Ancora in corso il dibattito sul nome di Beppe Sala. Nei 5 Stelle circola il nome di Pasquale Tridico, ex presidente dell’Inps, quello di Rocco Casalino, storico portavoce del Movimento e quello di Virginia Raggi, ex discussa sindaca di Roma, mentre
a destr a sta facendo parlare l’ipotesi di una candidatura congiunta del ministro Lollobrigida e della di lui consorte Arianna Meloni.C’è anche la possibilità di un ritorno sulla scena politica dell’ex presidente della Lombardia Roberto Formigoni, ma circolano anche i nomi di Gianfranco Fini e Nello Musumeci. A creare tensioni tra i partiti non è solo la questione dei nomi e delle liste, quanto quello dell’ipotesi, circolata già ieri, di una riduzione della soglia di sbarramento dal 4 al 3%, che al momento vede la maggioranza della politica sfavorevole. L’idea – secondo indiscrezioni – sarebbe stata valutata da Fratelli d’Italia, ma il partito di Giorgia Meloni, visti i numeri, non avrebbe certo bisogno dell’intervento: a beneficiarne sarebbero le formazioni minori. "Registriamo la sensibilità di alcune forze politiche su questo tema, che non riguarda Fratelli d’Italia, che si esprimerà quando ci sarà una proposta concreta sul tappeto", ha precisato oggi il presidente dei senatori di FdI, Lucio Malan.
Tra gli alleati un “no“ secco arriva dalla Lega. "La modifica della legge elettorale – ha messo nero su bianco in una nota il partito di Matteo Salvini – non è una priorità, ma soprattutto è giusto che gli italiani scelgano i propri rappresentanti senza che ci siano aiutini. Chi ha i voti, ottiene il seggio". E se Noi moderati (potenzialmente interessato) assicura che "non ne faremo una questione di lotta all’ultimo sangue", Forza Italia è contraria e con Maurizio Gasparri indica in Matteo Renzi il principale sostenitore della riforma: "Aveva il 40%, Palazzo Chigi, ora arranca, pietisce la riduzione del quorum per entrare al Parlamento europeo dal 4 al 3% che non otterrà. Non sarà rivista la soglia di accesso, semmai bisognerebbe portarla al 5", dice il vice presidente del Senato. Ma il diretto interessato non ci sta: "No, per me l’ideale è che si lasci la legge com’è, anche perché è l’unica con le preferenze".
Ribadisce la renziana Raffaella Paita: "Iv è contraria ad abbassare la soglia di sbarramento al 3%. Noi non abbiamo paura del voto dei cittadini, la soglia deve restare al 4%".
Tutti contrari? e allora perché se ne parla? Secondo Osvaldo Napoli (Azione) è un’idea del centrodestra per "esasperare la competizione fra le opposizioni, tanto nella sinistra quanto al centro dello schieramento". C’è poi un’altra ipotesi, ossia la possibilità di togliere le preferenze in linea con diversi Paesi europei. Un’idea che, se verrà a galla, sarà destinata a far discutere molto all’interno dei partiti.