Roma, 27 gennaio 2020 - Per la creatura politica fondata da Grillo e Casaleggio le elezioni regionali sono state quasi sempre avare di soddisfazioni. Ma stavolta più che di avarizia si deve parlare di vero e proprio tonfo, un minimo storico nella terra che ha dato i natali al Movimento e che ora avrà senz’altro un peso importante, per la tenuta della maggioranza e soprattutto nel cammino che condurrà il M5s agli Stati generali di marzo. Il M5s in Emilia raggiunge con il candidato Simone Benini meno del 5%. "Un risultato – si consola alla fine Simone Benini – che indica come a sparire non siamo stati noi ma Forza Italia con il 2%. E dà più forza al governo nazionale". E pure in Calabria, regione fortemente grillina nel 2018, il candidato stellato Francesco Aiello è arrivato solo al 7,3%.
FOCUS / Cosa succede ora. Nuovi equilibri in maggioranza
Certo, dati deludenti erano attesi, tanto che ancora ieri un deputato di rango la metteva giù così: "La sconfitta è data per scontata, ora tutti guardano al dopo, agli Stati generali". Il neo leader Vito Crimi, d’altra parte, parlerà solo stamattina. Insomma, Benini come Aiello sono stati candidati di bandiera, senza alcuna speranza di diventare governatori, tant’è che dentro i ranghi parlamentari grillini si faceva apertamente il tifo per una vittoria di Bonaccini in Emilia-Romagna, un voto capace senz’altro di allontanare lo spettro di urne politiche anticipate devastanti per i 5 Stelle in un momento di passaggio così delicato.
Già qualche giorno fa, d’altra parte, Paolo Becchi, ex ideologo grillino, aveva avanzato il sospetto: il M5s mira a perdere in Emilia Romagna. O meglio, spinge per la vittoria del Pd e di Stefano Bonaccini. Pronti a tutto contro Lucia Borgonzoni e la Lega, insomma, nel nome della sopravvivenza del governo. Un sospetto che Becchi ha rilanciato anche su Twitter: "Se andate sul Blog delle stelle non trovate neppure un post nell’ultima settimana sul candidato presidente in Emilia-Romagna. Qualcosa puzza come il pesce, nel caso specifico come la sardina", concludeva, rilanciando di fatto i suoi sospetti sulle mosse di Beppe Grillo e del Movimento.
Conviene però, riavvolgere il nastro per ricordare lo psicodramma che ha portato alla candidatura di Benini. Dopo la decisione di non correre con il Pd, il 12 dicembre, grazie a una consultazione sulla piattaforma Rousseau, è saltato fuori Benini con 335 preferenze degli iscritti. L’obiettivo, fin dall’inizio, è stato quello di ritagliarsi almeno uno spazio in Consiglio regionale, impresa difficile presentandosi da soli. La vittoria di Bonaccini, se si fossero alleati, gli avrebbe consentito di entrare in maggioranza, ma anche se avesse vinto la Borgonzoni, la scelta si sarebbe comunque rivelata sbagliata, soprattutto per la pioggia di accuse che verosimilmente sarebbero piovute addosso dal Pd per aver regalato la Regione alla Lega, che ha fatto cadere il primo governo Conte.
Insomma, un pasticcio. Che riporta a una domanda: cosa accadrà al M5s dopo questo devastante risultato regionale e nel dopo Di Maio? "Metteranno un direttorio coi soliti che non valgono niente, tipo la Taverna, così poi uno pensa “allora era meglio Di Maio“", era la sferzante sintesi, ieri, di uno dei tanti peones stellati in Parlamento. Del resto, che Di Maio, per ora, non abbia intenzione di farsi mettere ai margini lo ha chiarito lui stesso nel discorso di commiato dalla scomoda poltrona di capo politico. Sarà difficile non dargli la responsabilità di questa sconfitta clamorosa, che ha portato il M5s al lumicino e che tuttavia potrebbe agire da catalizzatore per le truppe dei rivoltosi in vista del nuovo inizio di marzo, quando M5s potrebbe cominciare il suo riposizionamento in una nuovo centrosinistra, teleguidato da Grillo e dal premier Conte.