Roma, 13 marzo 2024 – La storia elettorale di Abruzzo e Sardegna lasciava intravedere una competizione aperta a diversi esiti, dato che entrambe ricadono tra le poche regioni rimaste a lungo stabilmente contendibili. La fortunata vittoria di Alessandra Todde su Paolo Truzzu aveva oscurato, nella percezione veicolata dai leader e da molti media, una tendenza di segno opposto nei voti alle liste, che si è poi replicata senza colpi di scena in Abruzzo.
Il Campo largo, tanto nella geometria sarda (con il Terzo polo in solitaria), tanto in quella abruzzese (tutti insieme), soffre di fuoriuscite verso l’astensione o di flussi diretti verso la coalizione avversaria. Si tratta di una dinamica quasi inevitabile. Da un lato, è strettamente necessario che il campo si allarghi, per evitare il ripetersi indefinito della asimmetria che ha moltiplicato le vittorie del centrodestra nei collegi uninominali di Camera e Senato nel 2022. Dall’altro, l’elettorato di quest’area è attraversato al suo interno da varie linee di frattura: da reciproche ostilità deliberatamente alimentate dai leader nel recente passato; da una diversità di posizioni su vari temi di politica interna ed internazionale. L’analisi dei flussi mostra che tra gli elettori del M5s prevale, come in passato, la tendenza ad astenersi. Tra gli elettori dalle sigle che a Bruxelles aderirebbero a Renew Europe (Azione, Italia viva, +Europa) prevale la tendenza a ricollocarsi o a tornare verso il centrodestra, soprattutto quando, come in Abruzzo, quei partiti “liberali ed europeisti” sono assenti o si alleano con il M5s.
Gli equilibri all’interno del centrodestra rimangono abbastanza stabili. Forza Italia, lungi dallo scomparire, si giova della stabilità del quadro governativo e si riafferma come componente moderata della maggioranza, in un proficuo rapporto di sponda con la presidente del Consiglio. La Lega, viceversa, vede ridotta la sua ambizione nazionale, sia per la minore attrattiva di Salvini, sia perché il ceto politico da lui reclutato dal 2018, soprattutto al Sud, tende ora a defluire verso partiti che offrono maggiori opportunità di rielezione. FdI si conferma baricentro dell’area. Dunque, sia in Sardegna che in Abruzzo, in termini elettorali, il centrodestra cresce, il campo largo si contrae.
In questo quadro, sembra si sia riaperto uno spazio per partiti moderati e centristi. La misura registrata nelle elezioni sarde e, ancora di più in quelle abruzzesi, va però presa con cautela. Forza Italia passa, in Abruzzo, dall’11,1% delle politiche al 13,4% delle regionali. Non proprio un trionfo. Inoltre, questo risultato è prodotto in primo luogo da un tasso di astensionismo bassissimo tra gli elettori che l’avevano votata nel 2022, un fenomeno trainato con tutta probabilità dall’attivismo dei candidati al consiglio regionale, che in una regione come l’Abruzzo continua a contare. Lo stesso vale per il successo, nel loro piccolo, di Noi moderati e della resuscitata Unione di centro (Udc). Non è quindi del tutto vero che tale successo sia stato favorito principalmente da un travaso di ex elettori del cosiddetto Terzo polo. Secondo stime dell’Istituto Cattaneo, a Pescara gli ex elettori dell’area Renew Europe hanno apportato circa 2,5 punti percentuali ai 14,5 presi nel complesso da Forza Italia, Udc e Moderati, mentre una quota solo di poco più piccola dello stesso bacino è andata a FdI.
Tuttavia è certo che, in presenza dell’asse tra M5s e Pd schleiniano, di conflitti personalistici irragionevoli tra le anime dell’area liberal-europeista di centrosinistra, della decrescente attrattiva di Matteo Salvini e della utilità per Giorgia Meloni di avere partner leali nel campo popolare, il centro moderato insediato a destra ha margini di crescita. Di sicuro maggiori rispetto a quello insediato nel campo opposto.