Roma, 11 marzo 2024 – Sorpasso mancato. Rimonta fallita. Sconfitta sicura. A mezzanotte e mezza, quando le proiezioni sbattono il candidato di centrosinistra Luciano D’Amico appena al 44%, a distanza siderale dal quasi pareggio dei primi exit poll, l’aria diventa triste e anche la piccola radunatasi in piazza Unione, a Pescara, per seguire lo spoglio sotto al comitato elettorale, approfitta di una leggera pioggia per abbandonare le posizioni. D’Amico è a casa sua. Nel comitato non parla nessuno. Nelle stanze colorate dai cartelloni bianchi e verdi dell’ex rettore dell’università di Teramo ci sono Michele Fina (Pd) e Gianluca Castaldi (M5S). Un silenzio pieno di interrogativi sostituisce l’aria più elettrica che si respirava fino alle 23, quando, se non la vittoria, almeno un testa a testa con il governatore uscente Marco Marsilio pareva scontato.
E l’arrivo delle prime proiezioni sul voto ai partiti rende ancora più torbido il quadro (condizionato dalla presenza di ben due liste civiche). Il Pd (18,1%) guadagna parecchio rispetto all’11% del 2019, quando sostenne Giovanni Legnini, mentre i 5 Stelle precipitano dal 19,7% di cinque anni fa (con la propria candidata Sara Marcozzi) al 7% di questa tornata, superati persino da Abruzzo Insieme (8%). Seguono Azione-D’Amico al 4,5%, Alleanza Verdi-Sinistra 3,4%, D’Amico presidente-riformisti civici 3%. Percentuali che andranno confermate nello scrutinio ma che già delineano un trend. A ben vedere sono la conferma che dopo il voto abruzzese nulla sarà come prima. Perché dopo un anno abbondante trascorso a mascherarsi dietro ovvie parole d’ordine, a marcare differenze e a scandire distinguo, tutto il campo largo e sfrangiato dell’opposizione a Giorgia Meloni avverte che il cambio di passo è inevitabile: quasi ineluttabile, si potrebbe dire, pensando al dolore di alcuni storici amanti di scissioni dell’atomo e orgogliose divisioni.
L’avvicinamento politico tra forze anche sinceramente distanti si qualifica come esito necessario. Approdo che per assurdo prescinde dalla lunga notte dello scrutinio tra l’Adriatico e la Marsica, tra il Gran Sasso e la Maiella. L’entità della sconfitta non cambia la sostanza del ragionamento. E così, dopo l’appuntamento di aprile in Basilicata, dove l’accordo tra Pd e 5 Stelle è vicino, e dopo le Europee di giugno, ultimo festival dei solitari in ossequio al sistema proporzionale, l’aggregazione delle opposizioni nazionali in macro aree compatibili seguirà il calendario degli appuntamenti regionali. La numero uno del Pd Elly Schlein declina la sua linea "testardamente unitaria". La segretaria dem è sicura che alla fine i numeri parleranno e tutti dovranno prenderne atto. Anche Giuseppe Conte e il Movimento 5 Stelle dovranno prendere atto di essere importanti ma certo non dominanti e di non poter più tentare avventure solitarie e residuali. Stefano Bonaccini, presidente del Pd e della Regione Emilia Romagna, rivela già in mattinata la portata del cambiamento in atto e, soprattutto, il gradimento che riscuote tra gli elettori qualsiasi ipotesi unitaria: "Sono stato là (ndr, in Abruzzo) non solo per la chiusura della campagna, insieme a Elly Schlein, e devo dire la verità". Eccola: "Quanto piace quando ci vedono insieme, non fisicamente, io e lei, ma la comunità del Pd".
L’affluenza ai seggi abruzzesi che fino alle 19 supera i dati della precedente tornata seppur di un solo punto scema nel finale attestandosi al 52,26%, in flessione rispetto al 53,17% di cinque anni fa. "Il tema che certamente fa emergere questa elezione è il fenomeno dell’astensionismo sempre più grave e in tal senso le forze politiche dovrebbero affrontare insieme questa situazione di grave disaffezione e grave distanza dei cittadini nei confronti della politica", dichiara il segretario regionale dem Daniele Marinelli. Il centrosinistra può giudicare comunque il bicchiere mezzo pieno. "Due mesi fa in giro mi chiedevano chi me l’avesse fatto fare, ora mi chiedono: cosa farai nei primi cento giorni?", è la frase simbolo che fotografa la parziale rimonta di D’Amico da perdente con quasi 20 punti di distacco a sfidante di spessore. Ma quali che siano le percentuali finali dello spoglio, gli elettori di centrosinistra si sono già espressi. Vogliono unità, non leader bizzosi.