Domenica 22 Dicembre 2024
PIERFRANCESCO DE ROBERTIS
Politica

Elezioni 2018, casse dei partiti vuote. Al voto senza soldi

La fonte di finanziamento più importante è la legge del 2 per mille, che però ha costretto tutti a fare i conti con budget ridotti a un decimo rispetto al 2011

Contrassegni affissi al Viminale per la presentazione dei simboli elettorali (Ansa)

Roma, 22 gennaio 2018 - Un celebre statista americano del secolo scorso spiegava che in politica contano due cose: «La prima sono i soldi, la seconda non mi ricordo....», diceva sempre. Contavano allora e contano adesso, i soldi, e lo spazio assunto dai social – strumento low cost per definizione – non mitiga l’impatto economico di una competizione che nelle tasche dei partiti ha sempre pesato. Certo, non ci sono le preferenze che obbligano i candidati a costosissime lotte fratricide, ma la presenza dei collegi uninominali e le sfide one-to-one che ne conseguono un po’ il conto lo faranno impennare. Anche nell’epoca in cui il finanziamento pubblico non esiste, quando le vacche sono improvvisamente diventate magrissime (nel 2017, con il 2 per mille, i partiti hanno incassato in tutto 15 milioni di euro rispetto ai 190 del 2011 e ai 160 del 2012, gli anni immediatamente precedenti ai tagli Monti e Letta). Si spende quindi meno, ma si spende. E le stanze dei tesorieri dei partiti sono tuttora quelle in cui la coda per entrare è più lunga, quasi come quella dal segretario per i posti in lista. Per tutti il conto finale in ogni caso si assottiglia. Prendiamo ad esempio il Pd, partito reduce da una drastica cura dimagrante a cui è stato obbligato il tesoriere Francesco Bonifazi per ricondurre alla quasi-normalità di gestione una struttura che nel tempo aveva corso il rischio di restare schiacciata sotto il peso della sua elefantiasi (si pensi che ancora adesso, dopo la stretta, i dipendenti Pd alla sede del Nazareno sono oltre 170: peggio di un ministero). Il Pd, dicevamo, avrà un esborso intorno ai 3 milioni di euro, a fronte degli 8/9 delle politiche 2013 e dei 13 delle europee 2009.    Un bel calo. Questo la cifra in carico al Nazareno, cui si aggiungono le quote che sosterranno i comitati territoriali, oltre a quelle dei singoli candidati. Conto che scende per gli altri partiti, almeno a sentire quello che dichiarano i rispettivi tesorieri. Secondo Giulio Centemero, della Lega, il Carroccio sfodera un budget «centrale» di un milione circa, Marco Marsilio di Fratelli d’Italia dice di avere a disposizione tra un milione e un milione e due, Rossella Muroni di Leu sta più o meno sulla stessa cifra. Poco distante Forza Italia, quasi niente trapela dai Cinquestelle. Cifre non troppo confrontabili in realtà, perché non per tutti è uguale il rapporto tra centro e periferia. Un taglio che è comunque drastico, il 70/80 in meno per cento rispetto al 2013 (allora il Pdl utilizzò addirittura 12 milioni di euro). Le spese saranno indirizzate essenzialmente per la pubblicità e il materiale di propaganda (cartellonistica, advertisement su media di vario tipo), grandi stazioni, autogrill, volantini, sondaggi, iniziative sul territorio, staff web e staff comunicazione dei candidati presidenti. Costi che non sono pochi. I famosi 6X3 (i grandi manifesti pubblicitari) sono in genere costosissimi: la campagna di 6X3 messa in piedi da Leu è costata 170mila euro per 2.500 affissioni. Molto cara anche quella sui mezzi pubblici: una pianificazione di 15 giorni sui mezzi pubblici (treni, autobus, metro) a livello nazionale viaggia – è il caso di dirlo – intorno ai 500 mila euro, un volantinaggio a tappeto sempre a livello nazionale costa intorno ai 60mila. Vari tra loro i costi dei sondaggi, che dipendono dal tipo di contratto che la singola forza politica ha con l’istituto di ricerca (se un singolo sondaggio, se uno di una serie, su quanti intervistati). Per rendere l’idea diciamo però che si va dai cinque ai diecimila euro, salvo «pacchetti» che finiscono per produrre sconti.   Le risorse sono poche, dicevamo, perché la fonte del finanziamento pubblico si è seccata. Per cui si attinge o dal crowfounding (molto difficile), dagli sms previsti dalla legge (poco più di un flop, in diversi stanno pensando a smettere perché sono più i costi dei contratti con gli operatori dei benefici) o da quello che viene dal due per mille. Nel 2017 la quota maggiore è andata al Pd, che con i suoi 602mila donatori (ben più degli iscritti, che sono 400mila) ha portato a casa 8 milioni di euro. Gli altri stanno molto dietro. Forza Italia per esempio ha un decimo di quella cifra (64mila donatori, più o meno 800mila euro), come pure Fratelli d’Italia.